Il vaccino

Il mio giorno del vaccino.
Finalmente. Purtroppo. Vabbè. Ognuno è libero di tenersi stretto al proprio pensiero, ci mancherebbe. 
Io l'ho fatto con più convinzione dopo che i miei affetti più cari sono stati contagiati, l'input a convincermi a prenotare la mia iniezione.
Bene, non è questo il mio ragionamento, non è chiedere se si è pro o contro, no mask o si Mask, tutt'altro.
Mentre mi avvicino al carabiniere all'ingresso dell'Ente Fiera, dove è ubicato l'hub vaccinale, non posso non osservare l'ordine attorno; gente di tutte le età che aspetta, distanziata ed ordinata. Il carabiniere ha la tuta rossa e blu dell'Associazione Nazionale Carabinieri, ci salutiamo e mi spiega. C'è un percorso obbligato fino al padiglione successivo dove mi registreranno i medici. Attraverso gli spazi vuoti dell'Ente Fiera, spazi destinati al caos, ai mercati, alla musica; ora vuoti e con qualche erbaccia alta a far capolino fra il cemento. Un anno così strano come quello passato lascia il segno anche nelle infrastrutture.
Arrivo al padiglione davanti a me e mi accoglie una ragazza con la divisa della Croce Rossa Italiana, più giovane di me, sorride gentile, rispondo altrettanto gentilmente. Mi spruzza del gel sanificante nelle mani e mi misura la febbre, posso entrare, nuova coda, ordinata. 
Ci sono altri due carabinieri dell'associazione a gestire la cosa, col sorriso, scambiando battute con chi come me è in coda. A sinistra della spazio enorme del padiglione una fila di scrivanie con il divisorio di plexiglass e due sedie ai lati opposti. Osservo i medici seduti oltre il divisorio. Parlano, ascoltano, scrivono, hanno età tutte diverse e lontane fra loro, il segnale di come l'affrontare l'emergenza abbia messo in canpo tutte le forze disponibili. Avanzo veloce c'è verso il punto di registrazione, sono due, uno per lato della fila. Seduti alle scrivanie fra evidenziatori arancioni e fogli di lunghi elenchi ci sono due signori della Protezione Civile. Sorridono, forse quello che da fuori davvero non ti aspetti.
Nuovi saluti, nuovi fogli e mi accomodo nelle sedie che in questo caso compongono la sala d'attesa nel padiglione delle esposizione. Aspetto poco, la macchina è veloce e rodata. Fra le sedie e le scrivanie ci sono altri due volontari della Protezione Civile. Il volontario che chiama le persone segue l'ordine dell'appuntamento, l'orario preso a cadenza di cinque minuti. Lo urla per farsi sentire da tutti e quando sbaglia orarioviene bonariamente ripreso da una signora un po' in là con gli anni. Sorridono entrambi, il volontario risponde con una battuta in friulano, e le risate diventano più di una.
È il mio turno, mi siedo, ci salutiamo; triage veloce, non ho nulla da specificare, fortunatamente la salute è buona. Il colloquio dura lo spazio di un minuto. Il dottore mi ridà i fogli compilati con l'adesivo verde del vaccino che mi inietteranno: Pfizer.
Ripercorro il padiglione ed esco, ripercorrono lo spazio aperto e rientro nel padiglione d'ingresso, quello dove solitamente sono posizionate le casse dell'Ente Fiera. Nuovo volontario della Protezione Civile, grande come un armadio, che ad ogni persona ripete che il numero verrà chiamato dal display "grande, lì in alto", indicando lo schermo sopra gli sportelli. Ci guardiamo, lo anticipo. "Non te lo faccio ripetere ho seguito tutto quello che hai detto.", un sorriso veloce, meno male che ci restano gli occhi per esprimerci, e mi siedo. Attendo.
Sono tutti ragazzi giovani, quelli dietro gli sportelli. Computer e stampante, ti registrano questa volta "a sistema" e ti fissano già il prossimo appuntamento. La ragazza giovane con gli occchiali e il camice bianco mi ridà il plico di fogli e mi indica da che parte entrare. Ultima volontaria della Croce Rossa, giovanissima. Ultimo padiglione, non ci vedo stand ma box, piccoli, con due sedie e un tavolino con PC e tanti cassetti contenenti vaccini, siringhe, disinfettanti, cotone idrofilo e scotch di carta. Il medico che mi accoglie ha l'aspetto di uno di famiglia, zio, forse nonno, è sicuramente già in pensione, quindi uno dei richiamati al lavoro dalla pandemia. Mi saluta gentile, ricambio volentieri, mi indica dove posare zaini e felpa e dove sedere, preparo il braccio. Si avvicina e subito se ne va. Fatto.
Mi sento come la bambina della vecchia pubblicità delle siringhe Pic indolor. Lo ringrazio e gli dico buon lavoro, per mia antica abitudine. Abbozza un sorriso e ringrazia. Mentre mi avvicino alle sedie dove sostare i canonici quindici minuti "che non si sa mai...", vedo altri medici nei box. Hanno tutti un'espressione stanca negli occhi.
Mi siedo, mando qualche messaggio agli amici e ai colleghi al lavoro, aspetto, mi alzo, saluto l'ultimo carabiniere e in pochi passi sono uscito dall'Ente Fiera, vaccinato.
E penso. Penso allo Stato che ha messo in piedi l'organizzazione vaccinale, alle critiche piovute su chi la gestisce. 
Penso che vaccinare tutto un paese, uno Stato, non sia per nulla facile, specie con protocolli rigidi come quelli richiesti da una pandemia. Già il fatto di riuscire, l'utente che si vaccina (giocoforza in questo caso lo siamo tutti), a interagire con semplicità e umanità è un notevole beneficio. Farlo anche in tempi brevi e col rispetto e il sorriso ha un che di miracoloso; il tempo impiegato per il vaccino dal momento dell'ingresso all'Ente è di 42 minuti totali, nulla. In fondo siamo italiani, siamo sempre stati bravi ad uscire dalle nostre difficoltà.
Io il vaccino l'ho fatto ad Udine, nella mia città, e penso che tutti i volontari e non impegnati negli hub vaccinali debbano essere ringraziati per il lavoro che fanno.






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