Primi cittadini o prima i cittadini

Guardando oltre la soglia delle vaccinazioni ci accorgiamo che stiamo entrando in una fase politica piuttosto travagliata, con una gestazione difficile, figlia di dinamiche piuttosto particolari. È tempo di elezioni amministrative in alcune grandi città metropolitane (Roma, Milano e Napoli), entreremo poi in quella fase della Repubblica conosciuta come Semestre Bianco, ultimo step del mandato del Presidente Mattarella. Semestre che di fatto lo investirà del ruolo di spettatore degli affari interni, delle strategie politiche dei vari gruppi politici. Dovrebbe, perché già all'indomani della sua dichiarazione di "conclusione del mandato", sono iniziati i rumors legati alla sua rielezione sull'esempio del Napolitano-bis. Un "tirare il Presidente per la giacchetta" tanto caro agli schieramenti politici di ambo le parti. Per ora Mattarella sembra fermo nella.sua convinzione di non ripresentarsi, di voler fare il nonno e dopo gli ultimi venti mesi viene difficile dargli torto. Come viene difficile pensare che questo periodo costituzionale passi liscio e sereno, senza trame politiche e polemiche feroci. Che per inciso sono già iniziate. In nome e per conto della libertà di voto degli italiani, di un buon governo, di mille altre fantasiose giustificazioni.
Se con l'operato di Mario Draghi a Palazzo Chigi il Governo per ora sembra solido, capace di superare piccole correnti d'aria quasi fisiologiche, il primo banco di prova per i partiti sono diventate le elezioni amministrative che riguarderanno fra le altre, anche tre città fra le più importanti del paese: Milano, Roma e Napoli, in ordine da nord a sud. Banco di prova importante perché se in Parlamento risulta difficile ai vari leader imporre la propria volontà al premier, nelle amministrative c'è un po' più di libertà di movimento. La data cerchiata in rosso è provvisoriamente compresa fra il 15 settembre 2021 e il 15 ottobre 2021, non vicina ma neanche poi tanto lontana perché la campagna elettorale sta risultando più difficile degli anni scorsi. Si vota in città grandi, oltre i 100 mila abitanti (fra le altre Bologna, Torino, Trieste) che sono anche capoluoghi di regione, le città sopraelencate, o di provincia, fra le altre Benevento, Pordenone, Salerno, Isernia, Grosseto e Latina, quindi spie importanti sul colore di governo di molte amministrazioni italiane. Si vota il primo cittadino, ma è soprattutto un voto dei cittadini, il primo dopo il dramma pandemico, che lascia in questa tornata elettorale la pesante eredità di un'incertezza enorme, mai vista prima, nel trovare non solo i candidati ma soprattutto i candidati giusti. Sarà il primo voto dopo la caduta del governo Conte, dopo l'inizio della campagna vaccinale, dopo la caduta del coprifuoco e soprattutto dopo la ripresa, quella pianificata dal governo. Ripresa che indirettamente giocherà un ruolo importante alle urne e prima ancora in campagna elettorale dove questa volte le promesse non possono cadere nel vuoto come in quasi tutte le elezioni precedenti. Chi si candida sa che lo sguardo degli elettori non sarà mai lontano, sarà una presenza costante fino alla fine del mandato. In un paese che lentamente, troppo, maledettamente troppo lentamente, sta cercando di rialzarsi e riprendere il cammino produttivo e sociale anche la politica pare aver scoperto la paura. Non del virus, del lockdown, no. Il mondo politico ha scoperto la paura del fallimento di partito, personale; una sconfitta a questa tornata elettorale può significare l'oblio politico, l'uscita di scena definitiva perché chi si candiderà (almeno nelle tre grandi città già elencate fra cui la Capitale) sa che non ha possibilità di errore né di rimedio. Il partito di appartenenza pure perché dopo, dopo le amministrative alle elezioni politiche di farà di conto anche sul taglio dei parlamentari che quindi, al netto di giochi di prestigio dell'ultima ora non così impensabili, disegnerà un nuovo Parlamento, più snello, più agile, verrebbe da dire smart, usando un termine recentemente abusato.
La paura, si diceva.
Di fatto la campagna elettorale nelle città più grandi è iniziata l'anno scorso quando i primi cittadini sono entrati nel loro ultimo anno di governo; all'inizio sono state campagne elettorali sganciate dal colore politico, figlie delluso di smartphone e device capaci di riprendere file audiovisivi e caricarli sui dati social di diffusione e divulgazione del proprio pensiero, specie in quella Capitale che non sembra mai capace di trovare la giusta pace politica, questo dal tempo dei Cesari.
In questo ultimo anno trascorso i leader politici dei partiti più importanti si sono concentrati sul Governo, da fare cadere e da fare nominare, perdendo di vista le città, termometro importante per capire l'aria che tira belle vaste aree geopolitiche del paese. Nella ridda di polemiche e audizioni camerali, spesso sfociate in attacchi beceri ed incivili, i presunti leader politici reali o in pectore, hanno perso di vista l'importanza di dare ai vari elettori un volto spendibile per un voto mai come ora importante. Dalle segreterie di partito non è uscito mai un nome, una candidatura forte, quella capace di marchiare una campagna elettorale. Si è preferito piuttosto far cadere le stesse segreterie, gridare "all'inciucio", promettere summit fantasma rinviati mese dopo mese, persi fra gli acronimi del Pnrr e l'inglesismo del Recovery Plan, giustissimo per carità, ma che ora, ad un trimestre circa dal voto amministrativo presenta il conto. Come? Con una serie di rifiuti importanti, rifiuti a proposte di candidature che sembrano figlie della fretta, figlie di una improvvisazione politica disarmante. E di una politica dissoluta, asfissiante, ingorda. 
C'è chi rinuncia perché è già passato per l'incarico e dice basta (l'ex sindaco di Milano, Albertini), chi è finito suo malgrado in piani politici abbozzati troppo in fretta (l'ex capo della Protezione Civile Bertolaso) o chi semplicemente rifiuta accusando (o prendendo atto?) che la città, Napoli in questo caso, è in bancarotta (l'ex ministro dell'Università Manfredi). 
A queste rinunce si affiancano gli evidenti contrasti in senno al centrodestra fra Meloni e Salvini, col forzista Tajani forse distratto dai problemi di salute del Cavaliere. Ognuno vorrebbe una poltrona, guidare quella Roma Capitale ormai ad un passo dall'implodere nei suoi stessi problemi. Vero è che forse tra Fratelli d'Italia e Lega la poltrona più desiderata è in realtà quella del Copasir, il Comitato per la Sicurezza della Repubblica, ma questa è un'altra storia (la poltrona spetta ad un partito dell'opposizione per legge). Non che a sinistra le cose vadano meglio; alle amministrative arriva col fiato lungo, con una segreteria esplosa dopo l'addio di Zingaretti, il rientro dall'esilio francese di Letta e la richiesta di appoggio di Calenda. 
D'accordo, buttati lì velocemente, sembrano appunti per un discorso più ampio ed invece è semplicemente la realtà delle cose italiane che danno l'idea triste di quanto sia lontana questa politica da quella di un tempo. E che vengano dopo, solo dopo i cittadini.

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