I tuttologi

Scendo le scale ascoltando i Rolling Stones. Musica datata, di quando ero studente. Stamattina serve.
Scendo le scale e penso. Come sempre accade mi perdo in mille pensieri per accompagnare la discesa.
Penso anche mentre saluto i vicini e li osservo. Riflesso di un lavoro passato.
Osservandoli rifletto su quanto sta succedendo attorno a me, vita sociale, affetti, lavoro, da venti mesi a questa parte.
Mi sposto con il viso in parte coperto da una mascherina chirurgica, anche adesso che è estate e da decreto potrei non indossarla, almeno in spazi aperti. Ormai è un abitudine: pantaloni lunghi o corti maschili, quattro tasche, chiavi, smartphone, fazzoletti e mascherina assieme, portafogli. Un outfit di accessori al passo coi tempi.
Cammino verso il lavoro, passo davanti, di fianco, a volte attraverso i dehors dei locali che ormai tracimano dagli stessi locali verso la strada, ma anche questo è al passo coi tempi, un mix di compensazione comunale fra lockdown e ristori.
A volte mi ci fermo e scambio al volo due parole con gli avventori, col barista, anche mentre negli auricolari la frequenza dell'emittente radiofonica gracchia, spegne le canzoni e se ne va, salvo ritornare in audio qualche metro più in là.
E in queste chiacchere da bar, che a volte proseguono per strada, al lavoro, col cliente che viene ripreso perché entra nel mio negozio senza mascherina, a casa perché tutti abbiamo quel tipo di familiare che è contro a prescrindere. E non perde occasione di ribadirtelo. 
Io mi fermo sempre volentieri a parlare con tutti, lo considero un ottimo mezzo, gratuito per altro, per assorbire informazioni, punti di vista, su tutto ciò che rappresenta noi e che inevitabilmente condiziona anche la mia sfera personale.
Spesso però questo tipo di conversazione si inerpica su sentieri complicati, si arriccia su se stesso e mi regala la sensazione grigia di essermi infilato armato di cornetto in un cul de sac.
Per mia natura non prevarico mai le idee degli altri, retaggio culturale dell'educazione paterna ("vai sempre d'accordo con tutti"), piuttosto recepisco appunto il punto di vista e rielaboro l'informazione; piccoli puzzle quotidiani di come "gira il mondo attorno a me".
La cosa diventa complicata quando però incrocio le convinzioni dei tuttologi, che in ogni agglomerato umano, dalla grande industria al più piccolo degli ufficio, vivono assieme a noi, gomito a gomito. Quello è il momento più difficile da affrontare perché i tuttologi non esternano semplicemente una loro idea, no, pontificano, legiferano quasi, alla faccia dell'iter dei DDL.
Parlando con i tuttologi, di tutto appunto perché non esiste mai a loro dire un argomento in cui non siano ferrati, un'argomentazione nella quale possano inserire la frase spia del loro pensiero, quella "un amico/a fidato/a, che ne sa mi ha detto" che ti spiana davanti agli occhi una strada a senso unico nella quale non vedi neanche lontanamente la via d'uscita.
In quel momento esatto vorrei solo infilarmi nuovamente gli auricolari negli orecchi e perdermi nuovamente nei miei pensieri e nei Rolling Stones.
Oggi, che siamo nell'estate 2021, il tuttologo pontifica, a casa come al bar nuovamente di Covid-19 , dei vaccini e di Green Pass dopo aver dirottato per un po' il proprio pensiero sugli Europei itineranti di calcio, non senza aver collegato qua e là le due cose.
Una cosa salta all'occhio però del tuttologo, specie in questi giorni che il Governo italiano sta cercando di pianificare lo scatto per la fuga in avanti dal Covid e dai suoi danni, che apertamente, davanti ai colleghi o agli altri avventori del bar non dirà mai di essere un "no vax", anzi, farà nel discorso il giro più largo, per non ammettere semplicemente che il suo essere avverso, o l'essere contrario dell'amico/a fidato/a, è figlio di una propria paura personale, di quella codardia di fondo che dalla bolla di sicurezza della quiescenza (si, perché spesso il tuttologo è un pensionato, protetto in sicurezza dallo Stato e dagli enti assistenziali) fa collegare fra loro a caso, a casaccio, fatti di cronaca diversi fra loro, che non hanno nulla in comune se non l'essere riportati sulla stessa testata giornalistica distraendo il discorso, non lasciandoti parlare proprio (anche questa forma primordiale di prevaricazione da osteria è un tratto caratteristica del pensionato) perché sa, il tuttologo questo lo sa, che le risposte che ascolterebbe andrebbero diritte al punto e lo affonderebbero.
Meglio ascoltare, mettere qua e là in mezzo alle sue frasi un "davvero" oppure un "ma certo", affondare i denti sul cornetto, gustare silenziosamente il gusto dolce e amaro del cappuccino, guardare con finta preoccupazione l'orologio e affermare con tono grave "devo fermarla che mi tocca andare al lavoro", così, quasi all'improvviso, in contropiede sul tuttologo un po' piagnone, colto all'improvviso dall'affermazione ma rispettoso (altro tratto caratteristico fortunatamente del tuttologo pensionato) di chi lavora.
Paghi, alcune volte anche il caffè o il calice di vino dell'interlocutore abbandonato, fai ripartire la musica e riprendi il cammino, magari ricordando a te stesso che quest' bar è meglio evitarli per un po'. Va meno bene se il tuttologo è il collega perché in quel caso la via di fuga è solo durante la pausa e anche lì lo spazio per evitarlo è ridotto, minimo. Cerchi di fare sempre buon viso a cattivo gioco, ascolti, annuisci, conti i dieci minuti di pausa che in quel contesto li passano sempre troppo lentamente, e speri che una volta ripreso il lavoro i discorsi verrano almeno su qualcosa inerente l'impiego.
Sono momenti difficili per chi ha rapporti quotidiani coi tuttologi, specie adesso che tutto il Paese sembra muoversi su pochi argomenti: vaccini, green pass, giustizia, ddl Zan.
Quasi quasi si rimpiange il momento in cui il caffè era solo per asporto e lo bevevi lontano e isolato assaporandolo forse fino in fondo.
Musica, passi, cerco di riportare il mio mondo alla normalità.



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