Montagne e cavane

All'alba il mondo oltre la finestra ha forme e colori conosciuti, quotidiani.
Sagome scure, appena velate dall'umidità che sembrano lontane eppure sono vicine, sono casa mia. 
Sono il punto fermo all'orizzonte, quello che guardo per capire se piove, se il cielo rimane coperto o se splenderà il sole. 
Quel mondo oltre la finestra è un arco che scende davanti a me da nord a est, come un abbraccio. 
Sono montagne con nomi ai più sconosciuti, Musi, Matajur, Canin.
Sono la prima immagine di ogni giorno.
Apro la finestra. L'aria fresca mi sveglia.
Osservo l'alba che evidenzia le creste delle montagne.
Forse più tardi ci sarà tempo di un'escursione nei boschi in solitaria con la bicicletta, il tempo promette bene e i piccoli non condividono questa passione.
All'alba nella cavana l'acqua è calma, il mare non è più mare; lo specchio d'acqua che la circonda assume un suo nome specifico. Il mare diventa sacca; nei secoli la marea si è spinta nell'entroterra erodendo porzioni di terreno fino a rimanere insaccata appunto, mare nel mare. Al movimento naturale dell'acqua l'uomo ha aggiunto mura, sassi, fino a creare argini artificiali e sicurezza. Un modo per dare un confine all'acqua e protezione a se stesso. Le cavane hanno le gambe in ammollo sulla valle, la sacca, che qui ha un suo tratto specifico, un suo nome e si chiama Sacca degli Scardovari, valle di pesca schiacciata fra mare e il delta del fiume Po.
"Ci alziamo presto, un po' prima del sole e arriviamo alla cavana che albeggia e usciamo."
Va bene. Sono sessanta chilometri fra argini e campagna e nebbia per arrivarci ma se il mio amico mi chiede se voglio uscire con lui in barca non ho una giustificazione valida per non andarci.
Chiedo solo una cosa, quasi disperato, sperando in cuore mio in una risposta positiva.
"Ma alla cavana hai il caffè?"
Domanda che sembra cadere nel vuoto, priva di risposta. Il silenzio in realtà è la risposta.
Ci sarà, come tutte le altre volte e come tutte le altre volte lo berremo con le gambe a penzoloni sull'acqua, mentre guarderemo le montagne ad est che per ora il sole se lo tengono per loro.
Appena posso mi piace concedermi una pausa nelle valli, la pesca dei mitili, il sole che sorge quasi all'improvviso da dietro il profilo più a est.
Guardo verso ovest, il cielo sopra il mare è sereno, non c'è una nuvola neanche solitaria, più o meno sopra casa mia, l'altra, sta per cominciare una giornata tranquilla.
Da qui il mare è lontano, in base all'unità di kiaura che si vuole usare, un'ora d'auto o cinquanta chilometri. Non tantissimo.
Dalla cavana sospesa nell'acqua guardo il profilo delle montagne; sono le Alpi Giulie, Trieste e poi l'Est Europa. Così ci hanno sempre detto, così conosciamo quell'altra parte di Italia, quella che sappiamo chiamarsi Friuli Venezia Giulia.
Il caffè fatto con la piccola moka da due sul piccolissima fornelletto a gas ha un sapore forte, acido, come l'aria che si infila nelle narici di buon mattino, fredda e salmastra. Aria "che sa di mare".
Lo beviamo al volo, tutto d'un fiato che poi si scende sul barchino e quando il sole ci sorprenderà saremo già in mezzo alla valle.
La giornata inizia così.
Verso il caffè e esco di nuovo in giardino, lo bevo guardando le due nuvole appoggiate sopra il profilo delle montagne colorarsi di rosa e poi arancione.
Si inizia così adesso.
Con lo stesso colore, anche se da due punti di vista diversi.











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