Il tredici, la domenica

La domenica pomeriggio è una voce metallica, il rumore delle noci che vengono rotte, il caffè che borbotta nella caffettiera.
La domenica è il sogno rincorso di una vincita al Totocalcio, indovinare quei tredici risultati in fila delle partite dei campionati italiani, anche dodici potevano andare bene, capaci con un gol di cambiarti la vita.
L'appartamento dove vivevamo era grande, uno dei più grandi e spaziosi che per tanti anni ho avuto la fortuna di abitare. Era all'ultimo piano di un condominio dei primi anni '50, esternamente essenziale al limite del brutto, di proprietà del vecchio Istituto  Autonomo Case Popolari, oggi racchiuso in un acronimo anonimo come Ater. I più anziani per praticità etichettano questo tipo di edilizia residenziale come "Case Fanfani", ma si risale alla notte dei tempi. La nostra casa è senza dubbio figlia di un tempo lontano in cui un appartamento grande era diviso in due, per due famiglie, ricordo bene quelle domeniche nei muri mai dritti, pieni di odiosi "sette" che rendevano irregolare tutte le pareti per la rabbia silenziosa di mio padre, muratore "filo e bolla" per avere sempre la precisione attorno a sé.
In quell'appartamento grande c'erano due cucine, la piccola e la grande, la vecchia di metallo nella cucina più piccola era quella che si usava sempre, per tutti i cibi, per tutte le ricorrenze. L'altra, di legno, nuova e grande era il regalo chiesto dalla mamma al papà per la nuova casa. Credo l'unico regalo mai chiesto dalla mamma al papà. In quanto nuova non è mai stata usata, non il piano cottura almeno per il semplice motivo che la fiamma del gas macchiava il piano di acciaio e "se viene qualcuno a casa non mi va che si veda il fornello macchiato!", più che un desiderio un ordine. Eseguito. La casa però era grande quindi nessun problema ad usare spazi consoni. Ognuno in fondo aveva il proprio, addirittura ognuno aveva la propria TV: una piccola straordinariamente a colori nella cucina piccola, l'altra grande a colori nel salotto, inaugurata l'estate del 1984 con gli Europei di Francia di uno straordinario Michel Platini, e dall'ernia del disco che ha costretto il papà a casa, evento rarissimo per lui e per noi.
La domenica pomeriggio è la visita degli zii, il fratello della mamma che abita nel capoluogo e viene a trovare i fratelli rimasti qui al paese. È quel rito casalingo che vivo da bambino e da adolescente a domeniche alternate perché quando la squadra del mio paese gioca in casa vado al campo sportivo col papà, altrimenti seguo i programmi in TV con la mamma, in attesa degli zii.
Le domeniche sono un grande portafrutta a centrotavola pieno di noci, nocciole e arachidi, frutta secca e clementine. 
Il pomeriggio della domenica inizia con lo zio che si siede da solo in cucina, porta con sé il grande centrotavola e dalla tasca della giacca estrarre un apparecchio radiofonico piccolo, nero, con una rotellina che ha dei numeri segnati sopra. La posiziona sempre vicino alla finestra e girando la rotella non fa altro che sintonizzare al meglio la stazione radiofonica che trasmette il programma cercato.
Mentre mamma e zia preparano il caffè, con la grande caffettiera da sei che inizia a fare bollire il suo contenuto di acqua, lo zio letteralmente estrae dall'apparecchio radiofonico una lunga antenna grigia che a me ricorda una canna da pesca. Più l'allunga e più la voce metallica che gracchiava dalla radio arriva nitida.
E sempre nitida, puntuale, mi arriva alle orecchie la tromba di Herp Albert e della sua A Taste of Honey; lo zio calcola il tempo che serve per raggiungere Loreo da Rovigo con antica precisione di ferroviere. Ogni domenica si accomoda in cucina assieme alla sigla iniziale di "Tutto il calcio minuto per minuto" ed estrae dall'altra tasca della giacca un pacco di schedine in bianco e la solita penna dal taschino. 
Mentre la caffettiera borbotta ed erutta il suo contenuto, porto lo schiaccianoci allo zio che parla a gesti a non interrompere la voce dei vari radiocronisti che letteralmente raccontavano il calcio, tutto la domenica pomeriggio.
Lo schiaccianoci in funzione, una noce dopo l'altra, in religioso silenzio. Ogni tanto mi affaccio alla cucina e chiedo come sono i parziali delle partite, lo zio mi guarda, fa una smorfia leggera, non una parola, ma capisco che il tredici sia lontano.
"Scusa Ameri...." 
Le voci si alternavano, corrispondenti da Avellino, Como, Pisa, Torino, Ancona. Un corso di geografia, fra una tazzina di caffè nero e un gheriglio di noci.
Il rito pagano dello zio durava esattamente novanta minuti, la durata della partite, il tempo che mia madre e mia zia parlassero del più e del meno davanti alla TV, quella grande in salotto, tempo di "Domenica in...".
Dopo il novantesimo pochi minuti ancora poi il silenzio, l'antenna della piccola radio veniva richiusa e la rotella con le frequenze riportata sulla scritta "off". Lo zio ripuliva il piano dai gusci vuoti, spostava la tazzina nel lavello e accartocciava le schedine tutte scarabocchiate. Sempre, ogni domenica, per anni.
La domenica pomeriggio era il filò fatto in casa in attesa di raggiungere il sogno di una vita.
Frutta secca e "Tutto il calcio minuto per minuto" e mai una volta che lo zio abbia centrato il tredici...


Commenti