Rottami, fumo nero come la notte, carcasse bruciate, annerite, arrugginite, palazzi vuoti, svuotati della loro essenza naturale: chi ci abita. Che sono altrove, lontani, dentro tende da campo, rifugi umanitari o nascosti sotto metri e metri di terra che sopra, all'aria aperta il fumo acre morde la gola, fa lacrimare gli occhi, ti fa morire.
Già, morire, mentre sei a casa, mentre cammini per strada, quando hai sei anni forse, i capelli biondi e fini che scivolano sul viso e saluti con la mano appoggiata al finestrino un papà, un fratello, uno zio che rimane in quella che un tempo si chiamava casa e ora non ti appartiene più. Offesa, violata, distrutta da persone come te, come tuo padre, come tuo fratello, come tuo zio.
E si muore per cercare cibo, per cercare di dare ancora un senso alla vita, per fare il possibile per riportarla com'era prima, prima di settanta e più giorni di pioggia, di freddo e bombe. E paura.
E fra i rottami fumanti, ammaccati, restano i corpi inermi di persone comuni e di soldato e di bambini, frammenti di un mondo che non tornerà mai più uguale a prima, a quell'inizio 2022 in cui tutto questo sembrava ad Occidente così lontano da non sentirne l'odore, la paura, il terrore.
È un giorno qualunque, una domenica di maggio e le immagini che passano in TV, in tutte le TV le immagini ci ricordano che nulla sta migliorando, che si sta rubando vita, giorni, sorrisi, ricchezza a persone che non riescono più a piangere.
La retorica populista ci ricorda in fondo sono anni che li si spara, si muore, ma che erano pochi morti in fondo, frutto malsano di schermaglie locali e poco più, come se tutto questo bastasse per pacificare le nostre coscienze e andare avanti come se nulla fosse.
I rottami continuano a bruciare, fuoco nero e brutale, e lo faranno ancora per giorni rubando gli stessi giorni a donne, bambini, uomini, donne senza più aria sana da respirare.
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