L'estate di quarant'anni fa

Il televisore catodico in bianco e nero ingombra il salotto come un frigorifero, la parete bianca dietro il pesante elettrodomestico ha una riga nera che ne vela la superficie: è l'impronta tipo Sindone che il catodico lascia praticamente in tutte le case.
Le persiane sono tutte abbassate che il sole è caldo, feroce e non permette di alzarle prima dell'imbrunire.
La TV "grande" è in salotto davanti il divano così da poterla vedere anche comodamente sdraiati, canicola estiva permettendo.
Le scuole sono finite ormai da qualche giorno, la mail a seconda elementare è alle spalle e l'estate che va ad iniziare è l'estate del 1982, in quel preciso momento un'estate come altre oggi che sta per iniziare l'estate del 2022, l'estate più indimenticabile della mia generazione.
A casa fa caldo, quello afoso e appiccicoso, papà continua come se nulla fosse il suo lavoro di muratore e mamma il suo percorso in dialisi. Il mare rimane sullo sfondo, un'escursione ogni tanto con questo o quel cugino. Non è un dramma e di cose da fare anche con mamma e papà ce ne sono tante altre.
Rovigo è più o meno a cinquanta km dal mare, verso quella zona conosciuta come Alto Polesine. Nel capoluogo ci abito uno dei fratelli di mamma, controllore sui treni, Fs, in quell'estate reduce da un brutto problema fisico. È a casa, deve camminare molto, i figli sono grandi, mamma fa dialisi all'ospedale di Rovigo, ecco la soluzione.
A camminare con lo zio ci vado io, e con lui mi prenderò cura dei suoi canarini prossimi alla cova.
Il 13 giugno 1982 inizia il mondiale di calcio in Spagna, c'è anche la nazionale italiana con la sua maglia azzurra. Ho letto sul giornale che sicuramente lo vincerà il Brasile, squadra che sembra messa assieme per vincere a mani basse il campionato. Dicono che anche l'Argentina campione in carica sia una delle favorite; la sua stella è in forte ascesa (e negli anni a venire si accenderà ancora di più) e si chiama Diego Armando Maradona. Leggo poi di Francia, di Germania dell'Ovest (quarant'anni fa il mondo aveva decisamente una fisionomia diversa) e nulla dell'Italia. Come mai mi chiedo? Lo chiedo a dire il vero a papà e zio; unanime la previsione negativa. Non piace, così dicono, quell'allenatore all'apparenza burbero, con la pipa in bocca. 
E che non piaccia lo sento al telegiornale quando un giornalista garbato di nome Paolo Valenti (quanta compagnia mi farà la domenica sera) racconta che una tifosa gli ha rifilato uno schiaffo perché fra i 22 calciatori convocati per la Spagna non c'è l'interista Beccalossi, talento puro ma altalenante.
Il catodico in bianco e nero è grande, ricurvo, a ripensarlo oggi assomigliava ad un casco da astronauta, quelli che abbiamo visto passeggiare sulla luna anni prima. 
Rovigo in estate somiglia ad una di quelle pentole giapponesi per la cottura a vapore. Io ci arrivo un martedì che accompagnò la mamma a fare dialisi all'ospedale della città e poi aspetto gli zii che mi vengono a prendere con la loro auto. La mia vacanza inizia così, qualche giorno prima della partita Polonia-Italia.
La città rispetto al mio paese mi sembra enorme, brulicante di traffico nonostante il periodo di vacanza. Ogni tanto osservo la strada davanti a me lungo il viale e che mi riporta a casa degli zii. Mi sembra ondulare, fumante e non può essere diversamente. Fa caldo, quello bagnato di afa, quello dentro cui l'aria si fa grossa e ti sembra di respirarla a fatica. Ma ho otto anni, devo camminare tenendo per mano lo zio e del caldo non mi interessa.
Vedo forse per la prima volta in vita mia le forze dell'ordine sulle strade, sembrano ai miei occhi sempre seri, quasi arrabbiati. Ogni tanto passa una pattuglia, ogni tanto dei loro colleghi fermano automobili, camion. È il loro lavoro mi spiega lo zio.
"Si, ma perché chiedo io?"
Mi sembra strano che a pochi giorni dall'inizio del nostro mondiale la gente possa essere arrabbiata.
Il 1982 di Rovigo si apre con una ferita al cuore, quel tipo di ferite che restano nella cronaca e nella storia e lasciano rabbia, fiori, dolori e lacrime. È il 3/1/1982 quando nei pressi di via Verdi una Autobianchi 112 deflagra sventrando il muro di cinta del carcere del capoluogo. Lo zio mi racconta che nel carcere erano detenute tre donne appartenenti a Prima Linea e ai Comunisti Organizzati di Liberazione Proletaria, lotta armata ed eversiva, lotta di morte e bombe. Lo approfondirò meglio per altri motivi una volta adulto. 
L'esplosione con esplosivo da cava lanciò lontano nell'aria il cofano della vettura assieme a sassi, polvere, fumo acre. Era presto quella mattina, la città avvolta nell'inverno nebbioso del Polesine forse dormiva pigra. Il cofano terminò la sua corsa investendo il sig. Furlan a passeggio col cane. Si raccontò che chi aveva armato l'auto incrociando il pensionato lo avvertì di cambiare strada ma il sig.Furlan era a passeggio per le strade di casa sua, una mattina qualunque di gennaio come altre cento volte prima e non cambiò strada.
"Mi fai vedere zio dov'è successo?"
Ero piccolo ma capivo la gravità della cosa e volevo capire perché. 
C'era la guardia armata che camminava nervosa lungo la passerella alla sommità del muro di cinta, il buco richiuso subito con l'impronta fresca di mattoni e cemento e più avanti i fiori. Chiesi allo zio di passare altre volte per via Verdi; toccavo i fiori colorati e basta, lo trovavo giusto e anche lo zio lo sapeva.
Bearzot come tecnico esce dal centro federale di Coverciano, dopo i giovani ha ereditato l'Italia dei grandi reduce dal brutto mondiale tedesco del 1974. Leggendo le cronache al mondiale del 1978 in Argentina il quarto posto con tanti giovani lanciati fu un risultato fantastico. Poi il mondiale spagnolo, gli uomini da scegliere, uscire dai due anni post calcio scommesse, affidarsi a Paolo Rossi dopo la lunga squalifica a scapito del romanista Prezzo bomber di razza hanno messo sulla graticola il ct con la pipa.
Ogni scelta non avrà mai il 100% dei consensi ma anche limitando al contesto familiare il mio personale sondaggio il signor Bearzot non credo sopravviverà a Spagna '82.
Giochiamo a Vigo, in Galizia in quella parte di Spagna che staad Ovest e guarda l'oceano Atlantico e il Portogallo da vicino. Fa caldo lì dentro il tubo catodico come sul divano degli zii. Guardo steso sul divano la partita con la Polonia dopo essermi lavato come mi ha chiesto la zia, prima di cena. Ne esce uno 0-0 sciapo, chissà.
La zia cucina le cose che mi piacciono e mi cambia le lenzuola nella camera dove dormo. Lo zio la sera è stanco ma è "il mio commento tecnico" nella visione delle partite. 
Le altre partite sono sempre a Vigo. Contro il Perù pareggiamo 1-1 con rete di Bruno Conti che mi ruba letteralmente gli occhi per quanto corre lungo il bordo più lungo del campo e pareggiamo pure contro il Camerun, sempre 1-1 questa volta con la rete di Ciccio Graziani.
Gli azzurri che nel tubo catodico sono in realtà grigi non hanno entusiasmato al contrario del mio soggiorno a Rovigo. Lo zio mi fa vedere il "Battaglini", lo stadio del rugby e degli scudetti, la chiesa della Rotonda, i roseti, il palazzetto dello sport, le Due Torri e i giardini annessi. Camminiamo tanto, ogni tanto gli chiedo se sia stanco, se vuole che ci sediamo. Ogni tanto accetta, più volentieri accetta di passare per la stazione ferroviaria e parlare coi colleghi (lo zio era controllore sui treni). Io mi diverto a correre intorno alla fontana sul piazzale antistante che ha riflessi azzurri anche se è di marmo bianca. Ha un piccolo obelisco al centro con impresse le immagini di tutti i comuni travolti dall'alluvione del 1951. Credo che nell'estate del 1982 ho fatto i km attorno alla fontana.
Ogni tanto ci concediamo uno strappo alla regola e camminiamo meno ma non stiamo fermi mai. Ci rechiamo nel garage e ci prendiamo cura dei canarini, che lo zio alleva da anni. Mi insegna a capire dal becco e dai colori chi è maschio e chi è femmina, quando cambiare l'osso di seppia con cui si puliscono e rafforzano il becco e quanto becchime mettere di volta in volta. 
Mentre il mondiale spagnolo continua dopo un girone a detta di tutti catastrofico che ha portato alla rottura fra la squadra e alcuni giornalisti (i primi silenzi stampa sportivi dovuti ad una ridda cattiva e gratuita di pettegolezzi, cattiverie e critiche feroci) io convinco lo zio a comperare il quotidiano sportivo con le pagine rosa, la Gazzetta dello Sport, perché ho voglia di leggere un po' di sport e di cosa effettivamente capita in Spagna. L'acquisto del giornale è ben visto perché poi l'indomani servirà da fondo per le gabbiette dei canarini.
Al secondo turno ci tocca un girone duro, di ferro come si dice, con il superfavorito Brasile e i campioni uscenti dell'Argentina battuta all'esordio dai diavoli rossi del Belgio.
La comitiva azzurra si sposta da Vigo a Barcellona, città di movida e feste e stadi, per giocare le due gare con i sudamericani allo stadio Sarría, casa dei biancocelesti dell'Espanyol.
Il ct Bearzot ha fatto le sue scelte, lo leggiamo sui giornali e anche i ventidue convocati per la competizione sono dalla sua parte.
Guardo a Rovigo solo la prima gara del mini girone, quella contro i campioni uscenti dell'Argentina. Si gioca poco prima dell'ora di cena, sul divano con me c'è un cugino nuovo, fidanzato di mia cugina. Siamo seduti vicini al fischio d'inizio. Il sole è ancora acceso sopra il cielo afoso di Rovigo; le persiane rimangono giocoforza giù.
Lo zio è sceso in garage per vedere come procede la schiusa delle uova, io e il cugino tifiamo e commentiamo ed esultiamo; sorpresi quasi per il gol dello juventino Tardelli, più convinti con il raddoppio dell'altro juventino Cabrini. Le telecamere Rai inquadrano Bearzot che morde la pipa e parla con un signore vestito elegante come lui, il vice allenatore Cesare Maldini, icona del calcio italiano. 
Corro giù a dirlo allo zio e festeggiamo con un abbraccio.
Torniamo su per cena. Non riesco a salutare i nuovi canarini perché l'indomani rientro a Loreo.
Non faeno caldo che a Rovigo, anzi. La cappa di umidità è forse più pesante e si fatica anche a scendere a giocare all'aria aperta.
L'estate 1982 entra discreta nel mese di luglio, nella sfida al favoritissimo Brasile di Zico, Falcao, Socrates, Junior, campioni che giocavano nella serie A italiana in quegli anni irripetibili. La partita, anzi La Partita del Sarría però vede in campo anche il portiere brasiliano Valdir Peres e l'attaccante azzurro Paolo Rossi che è ancora all'asciutto. 
Il divano dei miei genitori è in pelle, quella grossa, che scricchiola quando ti muovi, che fa rumore e d'estate ti fa sudare. Io e mio fratello siamo quindi davvero incollati davanti lo schermo quando la partita inizia.
Ogni manifestazione ha il suo eroe, improvviso o meno che sia, l'incontro che la ricorderà per sempre, non necessariamente una finale. Quel 5 luglio 1982 io e mio fratello stavamo assistendo alla Partita di quel mondiale, iniziata da sfavoriti, giocata fino all'ultima goccia di sudore, anche nostro incollato sul divano di pelle.
Rossi ne segna tre, tutti i gol azzurri e getta nello scoramento uno stato intero. Gli azzurri tengono il pallino del gioco anche dopo i gol di Falcao e Socrates, anche quando Eder costringe Zoff alla parata più difficile, inchiodando la palla sulla linea di porta; con un rumore simile ad un sacchetto di patatine che si apre io e mio fratello esultiamo, ci abbracciamo. 
Bearzot fuma la sua pipa, sorride ai suoi ragazzi, ai suoi collaboratori. Chissà i giornalisti cosa diranno adesso...
Scendo giù in strada dove la mamma sta "facendo filò" (il ritrovarsi il pomeriggio a chiaccherare magari lavorando uncinetto o curando delle verdure) con le amiche. Le dico quello che è successo, mi dice che è contenta, le chiedo se riesce a farmi una bandiera tricolore. Prima della finale dobbiamo però giocare la semifinale con la Polonia di Boniek, futuro "bello di notte" juventino, nell'altro stadio di Barcellona, il monumentale Camp Nou.
La comitiva azzurra griffata nell'elegante divisa dei francesi di Le Coq Sportif dopo il dichiarato silenzio stampa si è stretta attorno al ct e viceversa. E i risultati danno ragione a loro, più forti di italiche critiche e maldicenze.
L'afa non dà tregua a Loreo come a Rovigo. Lo zio nel frattempo è prossimo al rientro al lavoro e ha dei nuovi canarini cui pensare. Vede ancora qualche volante di troppo per la città ma l'evasione di via Verdi fortunatamente rimane un caso isolato, uno degli ultimi colpi di coda di quel periodo storico italiano iniziato alla fine degli anni '60 fatto di lotta politica e lotta armata che si chiuderà (almeno la fase degli anni di piombo) nel 1988.
Il giorno della partita con la Polonia, semifinale, sono ancora in salotto davanti il catodico in bianco e nero con mio fratello. Il Camp Nou anche dal catodico stondato appare enorme, immenso. Si vedono tante bandiere sventolare in varie tonalità di grigio. Le italiane le vediamo dalla disposizione verticale dei colori e sembrano di più, nettamente di più.
Rossi è in stato di grazia e ne fa due, segna nuovamente tutti i gol dell'incontro, di astuzia, con un po' di fortuna, con l'istinto del cannoniere. Paolo Rossi sigla il 2-0 che ci manda a Madrid, allo stadio Santiago Bernabeu per la finale dell'11 luglio contro la Germania Ovest.
La mamma non senza fatica è riuscita a cucire con tre scampoli di tessuto colorato il nostro tricolore. Grande, enorme e pesante. La Gazzetta dice che la sera della finale a Madrid ci sarà in tribuna anche il nostro presidente della Repubblica Sandro Pertini, altro fumatore di pipa poco incline come da storia personale al compromesso. Bearzot punta ancora su Rossi in attacco e sulla fedeltà dei suoi uomini. 
Stranamente per la finale non ho vicino il papà, mio fratello o lo zio. La mamma è seduta con le amiche a chiaccherare e mi ospita una vicina, così la finale, la mia prima finale, la guardo seduto su una sedia con la struttura in metallo, con schienale e seduta in formica gialla, in una TV in bianco e nero più piccola della mia. L'appartamento è al piano terra del condominio dove abitiamo ed è palesemente più caldo del mio. La signora Laura che mi ospita mi offre del tè freddo mentre discutiamo sull'andamento dell'incontro.
E che incontro; credo che Loreo e i paesi vicini non siano usciti di casa dal momento che non sento rumori provenire dalla strada. La partita che ne esce è qualcosa che ad otto anni ti entra dentro e te la tieni stretta.
C'è un presidente sugli spalti che parla con il Re di Spagna e il Cancelliere tedesco come fosse al bar, c'è Cabrini che tira fuori di poco un calcio di rigore, ci sono tricolori in ogni settore dello stadio, c'è Rossi che di astuzia apre le marcature, Tardelli che tira, segna, urla e corre e Altobelli che con eleganza chiude la partita, c'è Pertini che si alza in piedi e saluta ironicamente gli avversari, c'è Bearzot che sorride con Maldini e magari ripensa allo schiaffo della tifosa. C'è Scirea elegante e pulito che si porta in attacco, Bruno Conti più brasiliano di un brasiliano, c'è la squadra azzurra che vince, trionfa. 3-1 e ciao ai tedeschi dell'ovest.
Gli azzurri hanno tutti il sorriso delle occasioni indimenticabili, io anche che corro a dirlo a mamma, che abbiamo vinto.
Alza le braccia anche lei, torno a vedere gli azzurri che alzano la Coppa con il sorriso largo del capitano Zoff.
È buio ormai, l'afa forse sta festeggiando in qualche angolo distante da qui quando entro nel garage di mamma e papà e prendo il tricolore che la mamma ha cucito. Corro con tutti i ragazzi e i bambini del quartiere all'ingresso della via. Inizio ad urlare "Viva l'Italia! Campioni del mondo!" agitando il pesante tricolore più grande di me. Passano auto con gente in festa, biciclette, motorini, gente a piedi e tutti fanno festa. Loreo è piccola ma sembriamo il doppio, il triplo.
La serata ha l'odore della resina, delle gocce di umidità che si fermano sulle auto.
Il sonno non arriverà facilmente quella notte di quarant'anni fa, per fortuna. Arriva mio fratello a bordo del suo motorino Bravo rosso. Mi fa salire con tutto il tricolore e dopo avermi ordinato di tenermi a lui partiamo liberando nell'aria il nostro tricolore.
Una notte in cui siamo diventati Campioni del Mondo tutti, loro sul campo a Madri e noi davanti gli schermi dei nostri catodici che ricordo ancora oggi che iniziano altri mondiali, che il Sarría ha lasciato spazio a edifici residenziali e parchi e che mamma e lo zio non ci sono più.


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