Uno scambio di idee a mezzo social

L'estate in centro città ha ritmi lenti, scanditi da sole, accenti stranieri e giorni più lunghi. Se lavori in centro città anche la pausa pranzo ha un tempo più lungo, ti lascia la possibilità di assaporare un toast ben cotto e bere una Coca Cola, ascoltare la tua playlist finalmente e, complice lo smartphone posato sul tavolo, un'occhiata curiosa al mondo social, come qualche tempo fa facevo con le pagine dei quotidiani. E così facendo ecco che cado nel trappolone dei post e delle loro risposte.
Mi piace lo sport, cosa già detta altro e e ripetuta, ma sono allergico alle polemiche, specie quelle che sembrano non finire mai perché penso che se si continua a guardare indietro non si vede la strada davanti. Un ragionamento semplice in fondo ma che mi piace fare.
Così mentre aspetto il mio pranzo mi sistemo sulla sedia, osservo un po' attorno nuvole e riflessi e apro Facebook, scorro qualche post troppo politicizzato e mi fermo su quelli calcistici, meglio se parlano, raccontano del calcio anni '80 e '90, quello che per mia modesta convinzione era il più bello che noi "attuali boomer" abbiamo potuto vedere. Come tutte le volte trovo una serie pressoché infinita di post, di quelli positivi però, quelli che assieme ai campioni di quegli anni celebrano anche il mediano della provinciale, un portiere con il riporto di serie B. Scorro, leggo e mi fermo su un post con tanto di foto che mi rimanda con i ricordi al 22 maggio 1996, ad una finale di Champions League giocata a Roma, Stadio Olimpico fra i favoriti e giovani olandesi dell'Ajax (gran generazione di calciatori come dimostrato poi in altri club) e l'italiana Juventus, all'epoca autentica forza del calcio tricolore. Il ricordo è ovviamente personale, bello per quello, e solo guardando la foto viene a galla. Il 1996 sarebbe stato l'ultimo anno che avrei vissuto al mio paese, quella era l'ultima finale che avrei visto con mio fratello seduti uno vicino all'altro sul divano di casa sua, tanti motivi piccoli ma preziosi per farmi ricordare quella finale. 
Guardo la foto, uno scatto sportivo, di festa, gioia. Riconosco i protagonisti, la memoria mi dice che lo scatto segue la rete dei bianconeri in maglia gialloblù. Al centro dell'immagine c'è l'autore della rete, coi capelli bianchi. Si chiama Fabrizio Ravanelli, professione attaccante, uno che i gol li ha sempre fatti, in tutte le categorie.
Al 13' minuto io e mio fratello esultammo; la Juventus era passata in vantaggio ma il punto era che, nonostante tutto, in vantaggio c'era la squadra italiana. Si, perché io e mio fratello siamo poli opposti che si attraggono: milanista lui, interista io, di destra lui, di una sinistra che non c'è più io.
Le gare di coppe Europee per convinzione di entrambi e per buonsenso rappresentano qualcosa di super partes, un incontro che va oltre i colori della squadra del cuore perché comunque una delle due bandiere che sventoleranno sullo stadio sarà il tricolore italiano.
Mentre guardo la foto, addento il toast e scrivo una risposta al post, una risposta che rappresenta ovviamente il mio punto di vista.
La scrivo di pancia come si suol dire ed esco, dal social e dal locale che la pausa e il toast sono finiti. Non penso più al post, a Ravanelli, alla Juventus di Lippi fino a sera tardi, sul divano, stavolta di casa mia e a fine giornata. 
Ma ci penso perché in realtà mi ci fanno pensare, lo fanno le notifiche del social appunto. Ogni notifica è un altro pensiero di un'altra persona legato altuo commento, anzi, almio commento sulla foto della Juventus.
Apro quasi incuriosito e assieme ai commenti di chi apprezza la mia sportività trovo i commenti di chi non condivide, di chi cerca la polemica a prescindere proprio dalle parole che ho usato, piuttosto chiare.
Allora ripenso al momento calcisticamente storico in cui è stata scattata la foto. Penso all'incontro, al pareggio poco prima dell'intervallo degli olandesi con una rete del fantasista finlandese Litmanen e a come poi si sia svolto l'incontro, ripresa e supplementari.
Ricordo una squadra tosta, muscolosa e compatta, in tutti i reparti. Giocatori forti, campioni in attesa dell'ultimo sigillo, alzare al cielo la Champions League. I nomi li ricordo tutti perché posso anche avere altri colori vicino al nero ma quella squadra li non potevi quantomeno non conoscerla ed apprezzarla.
Leggo i commenti, leggo che "un commento positivo non si può sentire", "che quella Juve non meritava.".
Ecco, ci risiamo con la vecchia storia di zemaniana memoria del calcio in farmacia, del sospetto, delle vittorie immeritate, leit motivo come il successivo Calciopoli dove alcuni club hanno pagato troppi e altri nulla; per farla breve, una delle tante "faccende risolte all'italiana".
Il momento storico era a dir poco pessimo, incentrato più sul disprezzare e sull'offendere l'avversario piuttosto che allrezzarne la vittoria, il prestigio che comunque portava all'Italia, al movimento calcistico nazionale.
Una sorta di tutti contro tutti ma soprattutto tutti contro i bianconeri.
La cosa che adesso mi preoccupa è che nonostante siano passati 26 anni nulla pare perdonato, dimenticato, capito, chiuso. E dire che negli anni a venire di cose ne successe altre, belle e brutte. Leggendo meglio alcuni commenti più di altri mi sono accorto che l'importante è l'essere anti juventino, a prescindere.
Non ho avuto voglia di rispondere perché la polemica spiccia non porta mai da nessuna parte e mi dà solo limpressodi perdere tempo.
Rifletto però su quanto sia buffo il destino; quattordici anni dopo un'altra italiana ha vinto la Champions League, la mia Inter, sempre il 22 maggio, del 2010. E anche stavolta la gioia è stata effimera, travolta dalle polemiche per come è maturata la vittoria dei nerazzurri ( anni diversi ma altre feroci polemiche, mai sopite).
Chiudo la pagina social che ormai si è fatta notte. Mentre spengo la luce capisco due cose: quella Juventus faceva una preparazione atletica feroce, scendeva in campo con rabbia agonistica che fosse in Italia o in Europa (poi anche nel mondo a coronare il proprio ciclo vincente) ed era oggettivamente forte, difficile da battere. L'Ajax ci provò, resistette fino ai calci di rigore ma il sangue freddo dei campioni che tirino il rigore o che cerchino di pararlo fa sempre la differenza. Io e mio fratello festeggiammo con alcuni vicini juventini in giardino. Era una sera calda di maggio e il tricolore svettava in Europa e non si poteva non brindare. 
Seconda cosa che ho capito leggendo qualche commento è il perché il nostro calcio, Europei del 2021 a parte, è fermo al palo, incapace di tornare quel bel campionato che alla fine del seco scorso non era secondo a nessuno e questa considerazione un po' mi rattrista.
Per inciso quella stessa Juventus, cambi generazionali a parte, ugualmente a mio avviso forte finì sconfitta in finale di Champions League due anni dopo dal Real Madrid. Bene, 1-0 con un gol convalidato non proprio limpido e corretto. Nessuno di altri tifosi lo ricorda mai, anzi, spesso la cosa piace, da godimento, quasi fosse un piacere perverso vedere il più forte sconfitto furbescamente.
La foto è tratta direttamente dal post Facebook e mi piaceva così.


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