Da trent'anni ho diritto di voto.
Nello stesso lasso di tempo ho "vinto e perso" elezioni, come in democrazia può capitare.
Ho sempre cercato di dare, di non sprecare, il mio voto esprimendo una preferenza influenzata da volantini, depliant (erano altri tempi anche in termini di campagna elettorale), cercando di cogliere nelle parole di ogni candidato il senso di ogni discorso. Gli appuntamenti per ascoltare la voce dei candidati erano appuntamenti fissi chiamati "Tribuna Elettorale" sulle rete Rai, un giornalista con l'abito buono, uno o due candidati sempre con l'abito buono che parlavano di programmi, idee, problemi da affrontare senza mai alzare la voce, urlare, insultare. Poteva capitare certo, ma i casi si contavano sempre sulle dita di una mano. E quasi con la forza dell'inerzia si arrivava all'appuntamento con la cabina elettorale, con il voto finalmente. Poi si aspettava, senza maratone, senza tv ventiquattro ore su ventiquattro, riconoscendo quando era il caso la sconfitta propria e la vittoria dell'avversario.
Il 25 settembre quindi, festeggerò il trentennale del mio diritto cercando di votare con il minor danno possibile, per me e per tutti, ma com'è il percorso elettorale?
Una cascata di social, selfie, video che ci stanno travolgendo come adolescenti qualunque; tutti ma proprio tutti i candidati sono "sbarcati" a colpi di account sui maggiori social, quelli che i giovani usano più spesso, quelli che fanno compagnia ai genitori nelle pause pranzo della loro attività professionale.
L'atterraggio così massivo del mondo politico sui social in realtà parte da lontano, da quei "5 stelle" che sembravano all'avanguardia di un nuovo modo di fare politica. Poi a ruota sono arrivati tutti gli altri e forse questa è l'unica novità autenticamente vera che questa politica ha saputo fare.
Nessuno di noi elettori si aspettava il voto a fine estate, criticato o no a Palazzo Chigi sedeva Draghi, simpatico o meno, persona spendibile anche in senno all'Europa dopo periodi medio-lunghi di scarso appeal. Aspettavamo il rientro dalle ferie e al lavoro cercando di capire quale manovra economica ci aspettava, non di arrivare a fine settembre con la scheda elettorale in tasca, in coda davanti il seggio.
Soprattutto in queste condizioni, "in queste condizioni non a queste condizioni", precarie, avulse dalla realtà, senza un filo logico.
Quale filo logico? Semplicemente quel filo che dovrebbe legare la politica alla realtà sociale. Cosa che non avviene, cosa che nessuno dei candidati in campo ha ben chiara in mente. Almeno questo è quello che traspare da questa estate calda e insopportabile.
Più che programmi elettorali figli delle idee politiche del proprio partito stiamo assistendo ad una gara a chi mette in evidenza gli errori dell'altro, i problemi delle destre e delle sinistre, il mancato appoggio a questa o a quella proposta.
Ci sono summit blandi, all'interno di altri contesti (il Meeting Ambrosetti di Cernobbio è l'ultimo esempio) dove ogni candidato usando sinonimi dice le stesse cose del candidato precedente, cercando malamente di girare una frittata già in partenza mal riuscita. Nessuno sembra avere la capacità di proporre qualcosa di nuovo, quella novità che noi elettori per primi sappiamo che non sempre una volta entrati in Parlamento è possibile mantenere ma che ci da la spinta per recarci al seggio, aprire la scheda e usare la matita secondo la nostra idea politica: quello che nei miei primi anni da elettore accadeva anche se sono stati a cavallo dello scandalo Tangentopoli, al tramonto della Prima Repubblica.
E dimostrano quanto nessuno abbia idee nuove, valide.
All'interno della campagna elettorale "summer edition" il trait d'union fra le varie componenti politiche è il richiamo al Governo, che faccia qualcosa per impedire l'escalation dei costi dell'energia e farci vivere un inverno letteralmente in ginocchio. Il particolare che forse sfugge alle Meloni, ai Letta, ai Salvini, ai Berlusconi, ai Conte, ai Calenda (e vista la ridda di partiti e partitini qualche nome mi scappa sicuramente) è che questo Governo fra poco non esisterà più, di fatto sta portando avanti quella che si definisce "normale amministrazione", e soprattutto che buona parte dei suddetti politici ha contribuito a far cadere lo stesso Governo.
Ecco il vuoto delle idee, il semplice ricorrere alla caccia all'errore altrui, alla macchia sulla camicia.
Il nuovo che avanza è il mondo social, i video di Tik Tok, i selfie su Instagram, i post su Facebook e i cinguettii su Twitter; tutte cose che fa qualsiasi adolescente, qualsiasi adulto in ferie. Certo i giovani rappresentano un numero importante, soprattutto neo elettori (quest'anno c'è qualche poltrona in meno a disposizione e conquistare il voto dei ragazzi è un dato non irrilevante) ma sfugge alla politica il fatto che i social sono liberi, vi hanno accesso anche i genitori, i nonni, i rivali e certamente oggi come oggi quello che più rimane in mente non è la promessa elettorale ma il senso del ridicolo che il politico on line ci regala. Se si apre il proprio profilo social si è invasi di messaggi e messaggini a sfondo elettorale che regala inizialmente un pò di fastidio ma scorrendo lo schermo la risata scappa perchè i commenti degli utenti (elettori) sono trancianti, sentenza che non dovrebbero scappare al politico e al proprio self media manager.
Mancano pochi giorni al voto e dopo trent'anni questa volta il voto lo percepisco come obbligo non come giusto che sia un mio diritto ed è il problema principale che questa politica non sta capendo.
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