Sabato mattina, piove. Piove da ieri pomeriggio, una pioggia fredda di fine estate. Sono giorni da televisione e giornali, news e sport, film, qualche giorno di ferie prima delle fatiche dell'ultimo trimestre dell'anno. I vetri lasciano correre apparentemente libere gocce di pioggia; viste dall'interno di casa mi hanno sempre divertito. Mi divertivo a rincorrerle con l'indice della mano... Il telegiornale oggi è una voce fastidiosa che rompe i lunghi attimi di silenzio. Non è una voce amica, è un pugno allo stomaco, diretto. Come la bomba d'acqua caduta sulla città il pomeriggio precedente. Quegli eventi che ti costringono a cambiare l'inerzia della giornata. Ascolto più voci, giornalisti, geologi, esperto, protezione civile. Ascolto soprattutto chi è là, chi ci vive là. Il "là" cui mi riferisco si chiama Marche, si trovata sulla costa adriatica del nostro paese. Appena sotto l'Emilia Romagna per rendere più chiara l'idea. Mi ha sempre dato l'idea di una regione allegra, divertente, un po' perché è un compendio di paesaggi, un po' perché ha spiagge che rappresentano un vanto e un "po' tanto" perché in un passato lontano ci ho lavorato e da quel passato ho amicizie che rimangono vive e presenti. Allegria, dicevo. Quella che oggi fatico a fare uscire. Purtroppo per noi il clima da qualche anno sta cambiando, è aggressivo e feroce e buona parte delle colpe sono nostre, che abitiamo il pianeta, l'unico che abbiamo, e che lo sfruttiamo senza apparenti criteri. Il clima non parla più di estati calde, calde non aride e roventi, di inverno con la neve, non con dicembre a +16°, parla di morti, eventi catastrofici. L'ultima bomba d'acqua dopo mesi di siccità caduta nelle Marche, Senigallia e i paesi attorno, ha travolto, distrutti ed ucciso in pochi minuti con una forza che abbiamo già visto altro e purtroppo ma che ogni volta fa male rivedere. Non smette di piovere e io seguendo il filo del ragionamento del telegiornale penso al fango che diventa trappola, che diventa morsa, che porta via. Il paese ha avuto da sempre improvvisi picchi di eventi catastrofici naturali (terremoti, alluvioni, smottamenti) ma oggi più che mai abbiamo la certezza che nessuno ha saputo, forse voluto, fare molto, il necessario niente di più niente di meno, per intervenire certo, per risistemare le cose, ancormeno per prevenire. Ascolto geologi e volontari spiegare com'è cambiata in una sera la vita in paesini sconosciuti e città di mare, vedo immagini di vite coperte di fango. Penso se capitasse qui cosa succederebbe. È un pensiero amaro, tumultuoso come la pioggia che sta sferzando la città. È un pensiero freddo. Attività commerciali, case, uffici, i piano terra di qualsiasi edificio non sono mai tutelati, da nessuna amministrazione, credo amaramente anche da quella delle Marche. Perché dopo lo shock iniziale soprattutto sui media si parla dell'evento, della fredda cronaca da un lato, degli sprechi, delle incompiute dall'altra. Un male italiano che non viene meno mai. E hai ben chiaro il motivo per cui bombe d'acqua seppur violente causano dolore e distruzione. La colpa è sempre nostra, dell'uomo. Del malcostume che caratterizza da sempre certi ambienti. Mentre le gocce si rincorrono sempre più numerose sui vetri le voci di chi in una notte ha perso affetti e speranze, certezze, si susseguono e sono tanti piccoli pugni allo stomaco perché ti rendi conto che oggi più che mai potrebbe capitare qui dove vivi tu, nel paese vicino, dall'altra parte della penisola. Serve prevenire, serviva farlo, apprendo seguendo il servizio, da quarant'anni, quaranta!, e invece nulla è stato fatto perché non può essere sufficiente un inizio di cantiere a dire che i rimedi, le prevenzioni erano già in atto. Sento che anche la magistratura sta facendo partire le indagini, apprendo che fondi erano stati destinati di recente agli interventi sul fiume Misa, sulle sue vasche di contenimento ma che in realtà, in questa drammatica realtà di fango e dolore non ci sono, ci sono pannelli informativi tipici dei cantieri, mezzi per movimento terra e basta. Quelli adesso serviranno a spostare il fango, le macerie, i resti di vite spezzate. La magistratura indaga ma io che sono una persona comune penso: la cifra x è stata stanziata in data x e in carico in quel momento, o quello successivo c'era la Giunta x. La ricerca sul perché non sono stati fatti i lavori per me uomo comune finisce lì. Invece sempre da uomo comune so che non finirà lì, so che andrà avanti come per L'Aquila, Amatrice e tutti gli altri luoghi feriti di quest'Italia. Mi siedo sul divano, vedo e ascolto persone piene di dolore e dignità, nessuno urla, tutti si danno da fare per riprendere in mano in qualunque modo la propria vita. Vedo i volontari, "gli angeli del fango" che sono giovani e spalano, persone più anziane che spalano. Non permettono al fango di seppellire la loro vita e la loro terra. Il clima è cambiato, è diventato feroce come un killer da romanzo criminale e l'uomo lo sa aiutando come il più maldestro dei complici. Non tutti però. Vedo in TV i volontari della Protezione Civile, qualcuno di cui essere sempre orgogliosi. Si muovono fra le macerie e le persone sicuri e umani soprattutto. Ecco, dovrebbe essere da loro, da chi aiuta a prescindere, il punto di partenza. È difficile accettare anche solo di vedere certe immagini perché sono persone come me, come la mia famiglia e i miei amici. Penso "povera gente", un morso allo stomaco, un stretta, stringo i pugni. Io ho avuto la fortuna (bruttissimo da dire ma davvero è così) di vivere di riflesso certe situazioni ma ricordo le angosce notturne, l'ascoltatore la pioggia, la sua intensità. Lascio il divano e lascio che il telegiornale prosegua, mi avvicino alla finestra, allungo la mano. Seguo con l'indice una goccia, mi chiedo quando ce la faranno a riprendere fra le mani le proprie vite i miei connazionali. Il mio cellulare vibra, sono gli amici marchigiani. Piove ancora.
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