Per prima cosa serve la lista della spesa che altrimenti al momento giusto non si hanno le idee chiare. Tutto deve essere segnato sul foglio di carta, quasi sempre in ordine di lavorazione perchè certe cose escono in maniera automatica. E tutto quello che è segnato sul foglio di car lota deve essere comperato, non c'è alternativa.
Soprattutto questa volta la materia prima, l'ingrediente principe bisogna andarlo a prendere direttamente al mare.
"No, stai tranquillo che non dobbiamo fare il bagno nel mare, c'è un luogo preciso dove si possono comperare tutti i pesci che si vuole."
Mio papà me lo spiega divertito che per acquistare il pesce buono non dobbiamo tuffarci in mare ma basta semplicemente raggiungerlo.
"E come facciamo ad andare al mare?"
Domanda lecita. Ho sette anni ma so che il mare è distante da casa mia circa venti chilometri e quando ci vado salgo sull'auto dello zio.
Continuo.
"Noi la macchina non ce l'abbiamo, come facciamo?"
Papà sorride sempre divertito, per nulla sorpreso dalle mie domande.
"Ci andiamo io e te con il treno!"
Percepisco i miei occhi che si fanno grandi dalla sorpresa; il treno nei miei anni di bambino è il viaggio del sabato, dieci, trenta chilometri in mezzo alla campagna diretti verso Adria, la prima cittadina vicina il mio paese o Rovigo, il capoluogo della mia provincia. Terraferma però, l'acqua è quella dolce dei canali che la attraversano pigri ed immobili. Soprattutto Adria (città dei miei studi superiori) è la meta preferita delle nostre gite. Papà passeggia con me tenedomi la mano lungo tutto il viale che dalla stazione ferroviaria porta direttamente al sagrato della Cattedrale sei Santi Pietro e Paolo; da lì inizia il lungo Corso Vittorio Emanuele II che mi riempie gli occhi con le vetrine colorate piene di libri e giocattoli. Le guardiamo una dopo l'altra senza nessuna fretta; papà fuma una delle sue HB e continua a tenermi la mano. Il sabato non lavora, la mamma rientra dopo pranzo dalla seduta di emodialisi e la lasciamo riposare; il sabato pomeriggio è l'unico momento tutto nostro.
ma non tutti i sabati pomeriggio sono uguali.
La mamma passa a papà il foglietto scritto in maniera ordinata con la lista tanto studiata. Papà da uno sguardo veloce e lo piega in maniera altrettanto ordinata per metterlo nel portafogli.
Ripenso al mare, alla sabbia e agli ombrelloni e mi viene in mente che non ho mai visto treni fermarsi.
Lo dico al papà che percepisce i miei dubbi ma sorride.
"Vedrai che ci arriviamo e magari sarà un altro mare!"
Un mare diverso da Rosolina Mare? Ho sette anni e giustamente non lo ritengo possibile. Semplicemente.
Sento mamma raccomandarsi con papà di scegliere bene, che non vuole fare brutta figura. L'indomani a cena avremo dei medici e degli infermieri, un'altra fetta della mia famiglia allargata. Non sono parenti ma li conosco da quando ho memoria e so che aiutano tutti la mia mamma e questo mi basta a considerarli zii, cugini, anche se legalmente non lo sono.
Papà risponde alla mamma di stare tranquilla e le da un bacio sulla guancia mentre usciamo. Giunti in strada prima di porgermi la mano accende una delle sue HB. Ci incamminiamo verso la stazione dei treni; mentre stringo la mano di papà osservo che non ha preso lo zaino di tela con le canne da pesca; come lo prendiamo il pesce al mare?
Venezia è un'isola fatta da tante isole, da sestieri, campielli e ponti. E' il capoluogo del Veneto e da casa mia mi sembra irraggiungibile. Venezia ha una sorella sulla terraferma, più piccola, con le automobili che ti passano vicine fra ponti e canali, con ritmi leggermente diversi dalla sorella più grande ma comunque simile. Ha un porto dal quale salpano i traghetti per tagliare in due la laguna veneta e arrivare nel capoluogo; di più, fin dai tempi della Serenissima è uno dei suoi porti, l'uscita verso le acque dell'Adriatico.
Chioggia, questo il nome della sorella, è nella parte meridionale della laguna e anche lei è un insieme di isole e isole più piccole collegate fra loro da ponti. Dista poco più di una ventina di chilometri da Loreo e, mi spiega il mio papà mentre aspettiamo un treno che arriva in direzione opposta al solito, si può raggiungere percorrendo la strada statale Romea o stando comodamente seduti in treno.
Sono contento perchè vedrò una città che ancora non conosco e strade e campi che non ho ancora potuto vedere.
Al supermercato Denis trascina con un pò di fatica il carrello della spesa. Le ruote seguono un percorso diverso dal nostro ma lui fa leva sulla stazza fisica e riesce a seguirmi. Il carrello lo abbiamo già in parte riempito con una bottiglia di vino bianco del quale più tardi useremo un solo bicchiere pieno fino all'orlo, una scatolina di uova anche se ce ne servirà uno solo, una baguette di pane che per sceglierla abbiamo dovuto passare in rassegna tutti i filoncini presenti nel cesto della panetteria perchè di quei filoni "un pezzo lo vorrei mangiare con la Nutella" e allora come dargli torto? La Nutella fa compagnia nel carrello alla bottiglia di vino bianco ed alle uova. Non abbiamo la lista con noi perchè per la ricetta che faremo stasera ho tutto bene in mente.
Mentre scelgo un pezzo di Parmigiano Reggiano gli chiedo se può prendermi un vasetto di acciughe sott'olio. Gli spiego dove sono e come sono fatte.
"Quelle salate?"
Ecco, ora sono certo che ha capito, annuisco e gli passo una mano fra i capelli mentre mi scappa via verso la corsia dello scatolame. Lo aspetto prima di andare verso la pescheria.
"Cosa ci manca?"
"I calamari, sai quei pesci lunghi con davanti un ciuffo di tentacoli?"
Mi guarda per nulla contento, so che non li ama. Annuisco.
Il viaggio in treno dura circa venti, venticinque minuti. Ci siamo avvicinati a Chioggia spostandoci verso nord. Avvicinandoci sono aumentati i canali, i ponti, i gabbiani in volo e con mia sorpresa barche e barchini che si spostano col treno ormai in arrivo a destinazione. Scendendo dal treno l'aria che respiro è diversa, più forte, pungente, non proprio gradevole. Se ne accorge anche papà che subito mi spiega che è il mare, la salsedine, che quando non si muove emana questo odore.
"Dove dobbiamo andare adesso?"
Papà, che nel frattempo si è acceso un'altra sigaretta mi indica una struttura davanti alla stazione ferroviaria. Dico si con la testa. Mi spiega che è lo stadio della squadra di calcio di Chioggia, che si chiama Ballarin come i due fratelli Aldo e Dino morti con tutta la squadra di calcio del Torino tanti anni prima (4/5/1949), cadendo con l'aereo a Superga, quasi a Torino. Lo osserva per un lungo minuto perso più a pensare alla squadra di calcio deceduta che per l'architettura della tribuna. Indicato lo stadio papà mi spiega che dobbiamo andare verso sinistra e camminare lungo il ponte che ci si presenta davanti e passare sulla parte di Chioggia composta dalle isole e dalle calli.
Papà ci è stato spesso per lavoro a Chioggia e conosce bene la cittadina, spostandosi sicuro. Mi spiega che la strada da dove siamo noi è tutta dritta; attraverseremo Porta Santa Maria e percorreremo il Corso del Popolo fino alla fine.
"E poi?"
Glielo chiedo quasi intimorito.
"E poi c'è la l'acqua della laguna!"
Ma come, non era il mare?
Non glielo dico mentre camminiamo. È un sabato di ottobre e si sta bene, l'aria del mare arriva forte ma non mi dispiace più, anzi. In fondo al Corso c'è la pensilina dove attraccano i traghetti che, mi spiega papà, attraversano la laguna per andare e tornare da Venezia e i paesini che sorgono sul lembo di terra che divide laguna e mare. Non so cosa immaginarmi, lo scoprirò qualche anno dopo.
Mentre osservo sulla mia destra un ponte un po' più grande degli altri, bianco, con delle statue di leoni all'inizio dei parapetti. Papà mi spiega che si chiama Ponte di Vigo e la Colonna di marmo con il Leone di San Marco sopra, si chiama anche lei di Vigo e il leone guarda verso Venezia, la sorella più grande.
"E adesso dove andiamo?"
"A prendere il pesce!"
Me ne servono seicento grammi, circa otto calamari, possibilmente grandi. Più di o grandi e più lunghi sono i ciuffi di tentacoli. Lo spiego a Denis che ascolta in silenzio; ho imparato con il tempo che quando è interessato ad un argomento scegli il silenzio e lo riempie di elucubrazioni, pensieri e lo fa suo. Chiediamo al ragazzo che lavora dietro un cumulo di ghiaccio tritato se ci può dare gli otto calamari più grandi. Adesso abbiamo tutto il necessario per la nostra ricetta. Ci avviamo verso le casse.
"Ma lo peschiamo noi?"
"No, ce lo hanno pescato i pescatori e i mògnoli ce lo venderanno."
Rimango zitto un attimo, penso a quella parola strana, mògnoli.
Papà lo sa che la sto ripetendo nella mia testa
"I mògnoli sono i pescivendoli, quelli che il pesce fresco lo vendono, adesso ne vedrai tanti."
Lasciamo il Corso passando di fianco la Torre dell'orologio, diretti verso l'acqua di un canale. Camminiamo lungo la riva in direzione del palazzo dal tetto rosso davanti a noi. Si chiama Palazzo Granaio ed è la sede del mercato del pesce di Chioggia.
A me sembra uno spazio enorme; conto quasi trenta postazioni diverse ognuna piena di scatole bianche di polistirolo, ognuna delle quali piena di pesce fresco, vivo, ognuna delle quali da all'aria il profumo del mare. Papà si ferma un attimo, estrae dal portafogli il foglietto scritto dalla mamma. Legge e alza lo sguardo. Lo fa uno, due, tre volte, sempre dandomi l'idea di sapere già dove guardare. In poco tempo prendiamo tutto quanto ci serve: calamari, vongole e uova di seppie. La mamma nello scegliere il menù è stata chiara, io e il papà possiamo rientrare verso Loreo sicuri di aver preso tutto. Saremo una decina a cena e papà quindi si ritrova a portare con la mano libera, con l'altra tiene la mia, una borsa di plastica grande quasi quanto me.
L'acqua scorre fredda sul lavandino, pulisco delicatamente i calamari, corpo e tentacoli. Questi ultimi non sono una parte che amo mangiare ma per il ripieno dei calamari sono ingredienti fondamentale.
Pulisco i calamari ad uno ad uno e separo delicatamente con le mani la testa coi ciuffi e il corpo. Ripeto la stessa azione per tutti gli otto calamari.
Il lavandino è smaltato bianco, è in terrazza in modo che per certe operazioni si possa sporcare esternamente alla cucina. La mamma sfila delicatamente una specie di cannuccia da dentro il pesce: è la penna d'inchiostro. E il lavandino inevitabilmente diventava nero.
"Posso usarla per disegnare?"
"No, Denis, si chiama penna ma serve al calamaro per difendersi non a noi per usarla come bic."
Mi guarda perplesso.
"Allora perché si chiama penna!"
Lo afferma non lo chiede e dicendolo se ne va.
A mani nude si pulisce linterno del calamaro, si sciacqua dalle interiora e si posiziona in un piatto. Prima di tritare con un coltello i tentacoli spiego a Denis che li distendo per bene sul tagliere e con il lato del coltello spingo verso l'esterno il rostro, in modo che del calamaro non rimanga nulla di pericoloso.
I ciuffi di tentacoli tritato col coltello riposano in un altro piatto.
Chiedo a Denis di tagliare il pane e prepararmi la mollica, lui nel frattempo ha già preparato il vasetto di Nutella.
Evitiamo l'aglio da sempre e metto nella padella un filo d'olio in più, accendo, faccio andare e aggiungo le acciughe, i tentacoli tritati e la mollica. Rigiro con un mestolo di legno dall'aspetto vissuto.
Lascio andare un po' e addentò una fetta di pane e Nutella con mio figlio.
Mamma aggiunge un bicchiere pieno di vino bianco e con il mestolo schiaccia bene la mollica in modo che assorba tutto il sughetto.
"Non ti preoccupare, il vino evapora tutto l'alcool così riesce a dare solo sapore e puoi mangiarlo anche tu."
Mi regala la sua migliore carezza per tranquillizzarmi della presenza del vino.
A cottura ultimata tutto viene trasferito in una terrina e fatta raffreddare.
Chiedo in rapida sequenza a Denis che mi passi un uovo, il mazzetto di prezzemolo tritato e il Parmigiano Reggiano. Verso tutto nella terrina e a mani nude impasto fino ad ottenere un composto omogeneo.
Adesso tocca nuovamente ai calamari.
L'odore del mare lentamente sparisce, ci stiamo a salire sul treno che ci riporterà a casa, da mamma e mio fratello. Papà è un pò innervosito dalla dimensione della borsa; non mi sono accorto ma il contenuto, il pesce, ha leggermente bucato la plastica e abbiamo lasciato inevitabili tracce della nostra uscita a Chioggia.
"Adesso credo che qualche gatto ci seguirà fino a casa..."
Prendo i calamari e aiutandomi con un cucchiaio inserisco il composto impastato a mano in ognuno degli otto pezzi; lo inserisco bene in fondo cercando di non lasciare vuoti d'aria e prestando attenzione a tenere almeno un paio di centimetri dal bordo. I lembi una volta terminate tutte le operazioni di riempimento li ripiego e con li chiudo con uno stuzzicadenti e l'aiuto benevolo di Denis.
La padella per soffriggere qualsiasi cosa deve essere sempre quella più annerita di casa, che così come spiega la mia mamma "ha tutto più sapore".
Mentre la mamma accende il gas in modo molto vivace, posa sopra la pentola annerita e un corposo giro d'olio; evita l'aglio che a casa è un sapore che non amiamo. Quando tutto sfrigola mi chiede di portarle il piatto con i calamari ripieni e chiusi.
Papà sta parlando in salotto con la caposala del reparto dove la mamma si sottopone alle sedute di emodialisi; sorride sereno, come se avere vicino quelle persone che per tante ore si prendono cure della mamma lo facessero sentire una volta di più a casa, circondato da quegli affetti che la vita nella maniera più inaspettata ti fa trovare.
"Passami il bicchiere di vino che ho preparato sul tavolo per favore."
Con un movimento veloce e circolare la mamma lascia cadere sui calamari il vino e alza un pò l'intensità della fiamma; aspetta che l'alcool velocemente evapori e aggiunge un pizzico appena di sale.
Denis mi passa il coperchio in vetro della padella e copriamo il contenuto, porto la fiamma su un'intensità media e lasciamo andare.
"Fra quanto saranno pronti?"
"Hai fame?"
Non risponde ma il profumo che esce dalla pentola deve aver fatto centro nelle sue papille gustative.
"Non sono molto grandi, penso 6 minuti e ce li mangiamo!"
Si siede sullo sgabello e aspetta mentre lavo veloce gli utensili usati.
Mi ha preparato la ciotolina con il prezzemolo tritato, ingrediente ultimo che aggiungeremo prima di spegnere il fuoco.
Ha apparecchiato per tutti la tavola.
Papà è seduto a capotavola, alla sua sinistra si siede la dottoressa, ai miei occhi meno austera di quando la vedo indossare il camice bianco. Sorride, mi sorride mentre con la mamma entriamo nella sala da pranzo.
Il profumo dei calamari ripieni appena cotti ci ha preceduti.
Sistemiamo il piatto di portata vicino la pentola grigia, rigorosamente grigia e spartana, con dentro il guazzetto di vongole e il piatto di portata con le uova di seppie condite solo con sale, pepe, olio e prezzemolo; semplici e ottime.
"Allora buon appetito a tutti!"
Si alzano alcuni bicchieri pieni di vino bianco, il mio con l'acqua naturale, quello di Denis con il thè alla pesca e quello del papà fa brillare in alto il perlage del vino frizzante.
Mangiamo, sorridiamo, parliamo. Tutti assieme.
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