E' tempo di summit, grandi incontri, strette di mano e sorrisi e accordi. Magari non tutti chiari, non tutti alla luce del sole, spesso anzi arrivano a noi lettori-elettori attenti filtrati nei particolari che tutto tutto non è giusto sapere. Ma tutto che? Le news arrivano dai paradisi tropicali, da quei luoghi da sempre preferiti per le vacanze, prima Sharm El Sheik in quell'Egitto forse troppo amico per non essere visto con sospetto poi da Bali, Indonesia. E sempre ci appaiono in sorridenti foto di gruppo, con il contorno di fake news a braccetto con le breaking news, i potenti del mondo sia che operino sotto l'insegna G7 o G20. Stonano i sorrisi a favore del mezzo di comunicazione perchè dietro gli stessi sorrisi si celano i grandi conflitti del mondo attuale, le grandi crisi e gli intrighi internazionali senza risposte. Il tutto in certi ambiti messo vigliaccamente in secondo piano in nome e per conto degli accordi economici, dei fatturati e del mero denaro. E poco importa se allo stesso summit siedono attaccanti e difensori, invasori ed invasi. Nei summit dal sapore balneare sembrano tutti amici, vecchi compagni di classe che si ritrovano per la cena annuale e commentano feroci come il tempo sia passato. Ed invece sul tavolo dei grandi c'è semplicemente la pace, quella che ogni giocherà passa sembra sempre più vicina ed invece si allontana, soffocata da polemiche, ritorsioni, missili e fumo. La pace che dovrà esserci, prima o poi dovrà finire, mettere la parola fine a questo 2022 così difficile. E non c'è al tavolo dei G20 solo il conflitto fra Russia ed Ucraina, ci sono le tensioni in Turchia (pare redivivo il PKK, vecchio partito di opposizione a mano armata), la tensione altissima fra Cina e Usa con Taiwan sullo sfondo. E la storia ci insegna che quando due potenze si scontrano non ne esce mai nulla di buono. Ma alla Storia nessuno sembra mai guardare se non plasmandola a proprio uso e consumo. E la pace diventa sempre più fondamentale anche per tutti gli altri paesi loro malgrado coinvolti nei conflitti; una crisi bellica comporta lo stop forzato dell'economia con preoccupanti ricadute sull'indotto, sulla domanda e sull'offerta. Ci sono blocchi aerei e navali che lasciano alla fonda navi d'accordo ma costringono alla fame altri popoli. E un popolo che ha fame scappa, si mette in fuga dalla vita povera del proprio paese alla ricerca di un paradiso anche solo provvisorio. E aumenta, aumenterà ancora, il flusso migratorio verso l'Europa, verso le porte del Vecchio Continente, l'Italia e la Grecia. E nasceranno scontri politici, si chiuderanno confini e si urleranno con la erre moscia i "no" forse a lungo soffocato in nome è per conto dell'Unione Europea che in questi giorni di summit balneari sembra sempre più un'utopia, un sogno. E un sogno di certo lo è stata al momento della sua nascita e per lunghi anni lo è stata ma da un decennio non lo è più e lo si vede sempre di più dopo ognuno di questi "Gqualcosa". L'immigrazione più di altri argomenti ha contribuito a dividere gli stati membri, per scelta comune sulla carta senza più confini, lasciando spesso il peso sulle nostre spalle. L'economia ha seguito lo stesso esempio con scostamenti di bilancio teutonici ad hoc per sopperire all'emergenza energetica, senza voler tenere conto degli accordi stipulati negli uffici di Bruxelles. Ecco, di fronte alla guerra, alla carenza di rifornimenti energetici, di export di materie prime, il mondo si limita ad osservare, ad ascoltare le parti in causa ma non sembra capace di prendere una iniziativa unica, unitaria, da Unione. Perché è pur vero che l'Ucraina non fa parte né della UE, né della Nato ma è nel cuore dell'Europa, forse sufficientemente lontana dal Belgio da non fare arrivare su Bruxelles l'odore acre del conflitto ma è vicino, sulla porta e prima o poi ricapiterà un altro missile impazzito, un errore, un detrito, che cadrà su una fattoria. E allora come guarderemo a questi summit da cui nessuno esce vincitore, dai quali giungono immagini di capi di stato, o rappresentati degli stessi, addobbati in improbabili abiti locali pronti ad una cena tradizionale (e non credo che al buon Lavrov, ministro degli esteri russo, l'organizzazione dell'evento abbia riservato un tavolo da solo in un angolo del locale)? Servirebbero meno summit inutili, più decisioni immediate. Forse anche tanto più coraggio.
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