Cappuccino, brioche e politica

Il bar è una di quelle pasticcerie storiche che negli ultimi anni si sono reinventare anche caffetterie. Il bancone fronte ingresso è un tripudio di dolce e salato, disordinato in un ordine goloso. 
La saletta che preferisco è in fondo al locale; è piccola, privata.
Mi siedo anche oggi al solito posto, schiena al muro in modo da vedere sempre chi entra nel locale dopo di me: ognuno ha le proprie, piccole o grandi, paranoie. 
Nel tavolo di fronte ci sono due signori apparentemente della mia età, so per certo che uno dei due, quello che parla con la voce più bassa e profonda , ha l'età di mio fratello, otto anni più di me.
Ordino la colazione prima di iniziare un turno fatto di lunghe call di inizio settimana. 
Provo a leggere il giornale, è pur sempre lunedì, il giorno dopo le manifestazioni sportive, tutte. Ci provo almeno.
La voce bassa e profonda mi disturba, forse più della stessa persona. La saletta è piccola e il suono riverbera su parteti troppo spesse.
Inevitabilmente finisco per ascoltare tutta la conversazione.
Nella mia città a maggio si elegge il nuovo sindaco, a fine gennaio, ora, si definiscono candidati, candidature, alleanze,vquelle soprattutto lontano dalle sedi ufficiali, quelle che si discutono meglio mangiando. A qualsiasi ora.
Ascolto mentre continuo la mia colazione, ascolto a mi mordo la lingua. Non è nel mio carattere introdurmi nei discorsi ma da vecchio barista so ascoltare tutto e tutti.
Il signore con la voce bassa e profonda continua a parlare, ha parlato anche a mezzo stampa in settimana, vorrebbe, non vorrebbe, non si sa. È un vecchio frequentatore del mondo politico, spiega al suo interlocutore chi sarebbe preferibile candidare, chi non è proprio presentabile.
Ascolto mentre continuo la mia colazione.
Il quadro ideale del candidato è sempre quello di un libero professionista, un medico, un avvocato, che ha una base di clienti che possono diventare voti, tanti voti. E i voti fanno vincere le elezioni semplicemente.
Il discorso è farcito di "quella volta che...", "cinque anni fa..." (le scorse elezioni), "lo si fa per la comunità..."; un po' mi infastidisce, un po' troppo in verità.
Torno a votare in questa città dopo tanti anni e la ritrovo da cittadino (da lavoratore pendolare la frequento da quasi due lustri) un paio di passi indietro rispetto a prima. E non dipende dal "colore" cui appartie il Sindaco, no. 
È una realtà figlia dei tempi, delle scelte economiche e politiche non sempre legate alla gestione della pandemia dell'ultimo triennio.
È una realtà che sfugge a chi siede nel consiglio comunale perché, su questo verte il discorso dei due vicini di tavolo, sui quartieri, sulla preferenza politica di questo o quel quartiere. Zone residenziali, zone ad alta densità popolare, comunque lontane dal centro, da quel centro storico dove sono più le serrande abbassate di quelle alzate. Il centro storico che porta turismo, entrate, che nonostante tutto ha sempre un certo appeal su chi viene da fuori.
No, anche questo dialogo di stamattina lo sottolinea, le priorità di maggio, quantomeno da maggio in poi, saranno altre, non di rivitalizzare un patrimonio collettivo, sociale e culturale, che graverà tutto nel bene e nel male nelle spalle di chi sarà eletto sindaco. 
A chi si siede ai tavoli di un bar, di un ristorante pronto a tessere le trame politiche future interessa il proprio "orticello", quello dove magari si ha l'attività professionale, la residenza, dove si è nati.
Non ne capisco molto di politica, forse in realtà non mi piace interessarmene, ma se stamattina questo dialogo l'avessi sentito a Roma, non si sarebbe parlato di quartieri ma di città da preferire magari ad altre, realtà da valorizzare a scapito di altre. 
Un certo senso di fastidio mi accompagna nel finire la colazione.
A maggio urge recarsi alle urne ...


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