Adesso che la musica è finita, nel vero senso della parola, ci si può concentrare nuovamente sui fatti di casa nostra e del vicinato. E non sono argomenti leggeri, non sono neanche argomenti nuovi. Lontani dai microfoni canori i giorni di guerra non sono finiti. Fra pochi giorni nel freddo dell'inverno ucraino cadrà la triste ricorrenza di un anno di guerra, un'operazione speciale come la chiamano dalle parti del Cremlino che tanti danni ha creato in intere generazioni ucraine e, credo anche russe. Non so dire quanto inaspettato fosse questo conflitto (è ormai risaputo che il Donbass, l'est ucraino, ribollisse da tempo), di certo dopo un anno possiamo quantificare quanto male ha fatto. Troppo se ancora oggi i più anziani richiamano alla memoria antiche purché sovietiche, se oggi i più giovani non sanno più come guardare negli occhi il vicino di casa, il vicino di banco. E trascinandosi lungo 365 giorni di guerra la crisi nel cuore dell'Europa ha portato divisioni nuove, geopolitiche, lontane dall'avere radici storiche, un senso vero e proprio. Ci siamo bloccati, ogni parte in causa, ognuno sulle proprie idee, sul proprio tornaconto personale. Dove personale si deve intendere economia di uno stato. Ci siamo scontrati con scostamenti di bilanci extra direttive UE, con stati sovrani poco europeisti e molto egoisti, con forniture di armi che non cessano, per garantire quella difesa del territorio che l'Ucraina da sola non può permettersi. E la richiesta ha un incredibile carattere di urgenza perché un anno è lungo da affrontare, costantemente sotto il tiro del fuoco nemico diventa impossibile da superare. La spaccatura in senno all'Europa a conti fatti (molto recenti, la settimana scorsa nella capitale belga Bruxelles) ha visto coinvolti tre paesi da sempre alla guida del continente sia pur con pesi e importanze diverse: Italia, Francia e Germania. E se la Germania già prima del Natale scorso aveva dimostrato una certa pesante volontà di indipendenza dall'Unione gestendo a conti fatti in proprio il proprio bilancio, la Francia alza un po' i toni forte dell'essere l'unica potenza nucleare dei tre, sorvolando si quanto fatto, detto, promesso dagli altri stati. In particolare verso il nostro governo, incapace anche di ottenere un bilaterale "amichevole" con le parti in causa. Il tutto con l'ombra statunitense in sottofondo, con il buon Biden troppo preso a dire si alle armi da inviare a Kiev in modo da potersi concentrare su quanto avviene a Pechino e dintorni; anche il giovane premier canadese Trudeau si è inserito nella querelle Usa-Cina. Biden da l'impressione di dire, anche in futuro, sempre si all'Europa per poter avere una linea di credito, sempre in futuro, in caso di peggioramento dei rapporti con Pechino. Perché Taiwan non è una questione meno importante del Donbass e solo per volontà cinese al momento non è esplosa in un nuovo conflitto. Su questa tensione però il governo Meloni non si esprime, forse in attesa di chissà che decisioni o forse perché coinvolge una parte di mondo più vicina alla sinistra. O forse perché sulla scrivania del presidente ad oggi molto probabilmente ci sono i dati delle tornate elettorali in Lazio e Lombardia. I due governatori neo eletti o rieletti, sposteranno sicuramente gli equilibri di governo e solo dopo Ucraina e Taiwan torneranno di peso nelle agende di governo. E torneranno anche gli anarchici, il 41 bis, l'ergastolo ostativo e forse anche la querelle Donzelli-Pd. PD che ha scelto nel weekend di Sanremo il proprio segretario e oggi che è lunedì il testa a testa Bonaccini-Schlein sembra avere il suo esito con l'arrivo della sera. E magari sarà l'alba finalmente di un PD nuovo. Vedremo. Il problema grave dell'Italia in questi giorni carnascialeschi si sta discutendo sui tavoli del "Palazzaccio", la Corte di Cassazione che deciderà le sorti dell'anarchico Cospito, del suo "usare il proprio corpo come un'arma", del 41 bis "ai mafiosi intercettati e no". Il caso Cospito sta scuotendo da un po' di giorni la quiete invernale delle città più grandi: Milano e Torino. Proteste, scontri, assalti a troupe televisive, il meglio del peggior repertorio anarchico. Ma nessuno di questi rilascia una dichiarazione per spiegare cos'è l'anarchia, cosa significa. Nessuno per altro (solo uno degli organi di stampa lo ha menzionato, il meno politico per altro) cita il curriculum dell'anarchico Cospito, ormai oltre i cento giorni di sciopero della fame, il corpo come arma appunto. Curriculum che descrive una persona avversa a rispettare la legge del proprio stato, già graziato in passato dal presidente Cossiga. L'impressione è che la decisione del "Palazzaccio" deciderà al momento le sorti sia del Cospito che del Guardasigilli Nordio. Vedremo, sempre dopo le elezioni ovviamente. A microfoni spenti ci sia accorge che di carne al fuoco ce n'è troppa per sperare in un futuro quieto.
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