Il Toshiba RT-8035 Stereo a due casse rigorosamente portatile di mio fratello era acceso da qualche ora, sopra il frigorifero bianco, e riempiva con la sua musica la stanza che era a tutti gli effetti la cucina ufficiale della mamma.
L’altra, quella bella, grande, in legno con il tavolo da pranzo abbinato sistemato davanti la grande finestra con vista sui grandi alberi davanti era soprattutto nuova, acquistata appositamente per il trasloco nel nuovo e più grande appartamento. Non era mai stata usata, solo il tavolo ovviamente. Il piano cottura in inox secondo la mamma poteva scurirsi usandolo e allora meglio riadattare la cucina vecchia.
E con essa una stanza altrimenti inutilizzata da convertire a cucina. I pensili e il piano cottura in lamierino smaltato bianco e base di lavoro in formica verde erano quindi il trait d’union con l’abitazione precedente.
Vedendo i lavori ultimati mia madre emise la sua sentenza.
“Meglio così, qui posso cucinare e sporcare senza rovinare nulla e gli odori non usciranno dalla stanza.”
Non potevamo dire il contrario; papà usciva dalla stanza annuendo silenzioso, orgoglioso in cuor suo di aver eseguito il lavoro a regola d’arte per la mamma.
Sul grande frigorifero bianco la mamma appena poteva posava lo stereo di mio fratello e ci regalava così il buongiorno; in realtà a nessuno di noi tre maschi di casa dispiaceva la musica, pur mantenendo tutti inalterati i propri gusti musicali.
Era la routine dei giorni in cui la mamma era a casa; il sabato invece, dei quattro componenti la mia famiglia ero l’unico ad uscire presto per andare a scuola e a non svegliarmi accompagnato dalla musica.
Il sabato Denis non va a scuola, io mi alzo quasi prima dell’alba e lo aspetto in salotto, ascoltando la radio con gli auricolari bluetooth in modo da non svegliarlo: dispiacerebbe più a me se non riuscisse a riposare.
E’ un sabato di maggio, le scuole stanno finendo e il sole già dal primo mattino entra caldo dalle finestre; mentre guardo in dispensa se gli ingredienti per il pranzo ci sono tutti vedo sul ramo della magnolia davanti la cucina il gatto cercare di prendere la rincorsa per lanciarsi poi verso un punto imprecisato del giardino..
E’ un sabato che ho il giorno libero e ho bisogno di distrarmi un po’, cucinando.
Accendo quasi contemporaneamente alla macchina per il caffè la playlist sul mio smartphone.
Il caffè è in una scatola vicino allo zucchero, all’olio d’oliva , al sale ed al pepe. Penso che almeno tre ingredienti ci sono, bene.
La prima canzone che parte è una canzone d’amore, paterno, dei Led Zeppelin; “All my Love” del 1979. La lascio andare.
Cerco in dispensa se c’è il riso, carnaroli rigorosamente, che per il risotto che voglio cucinare è il più indicato. Trovo la scatola, come nei miei ricordi, bianca e verde.
“Riso Gallo, mi raccomando, qualità carnaroli, quello che non scuoce.”
Mamma era sempre meticolosa nel prepararci la lista della spesa; non potendo spostarsi liberamente per le commissioni si affidava a noi. Ne usciva sempre una lista della spesa ricca di dettagli cui mancava quasi il disegno del prodotto indicato. Se la lista ce la lasciava il giorno che doveva sottoporsi all’emodialisi in calce al biglietto c’era sempre un semplice “Ti voglio bene, mamma” o Nelly se il destinatario era il papà.
Bevevo il tazzone di caffelatte mentre la mamma metteva nella pentola con i bordi alti carote, cipolla e sedano, pronti per il brodo.
“Lo preparo adesso così quando mi serve per pranzo è pronto.”
“Ma lasci anche le verdure?”
La mamma mi guarda con lo sguardo di chi si aspettava questa domanda: non amavo molto le verdure da bambino, come buona parte dei bambini stessi. Mi sorride con un sorriso carico di pazienza e amore.
“No, le tolgo, le mangiamo condite a cena io e il papà.”
Finisco la mia colazione emi preparo per andare alla bottega del signor Roberto, non molto lontana da casa nostra.
Nella lista oltre al riso carnaroli fra le altre cose c’è indicata una bottiglia di vino bianco. Il Tocai, bianco friulano (oggi per ragioni storiche-economiche-sociali lo stesso vino si chiamo semplicemente Bianco Friulano) che piace alla mamma.
Dal cucinino proviene della musica, è allegra, la canta una voce maschile, in falsetto: “Vecchie favole/ di un’epoca un po' più in là/i colori di un’età/libri e musica…”
Il gruppo che la canta si chiama, oggi si è sciolto, Gatti di Vicolo Miracoli, cantanti e attori veneti di Verona, come noi insomma.
Il papà quando li vede in tivù si diverte sempre , la mamma adora questa canzone cantata in falsetto, la canticchia sempre quando passa alla radio.
La canzone si chiama “Verona Beat”, nel 1985 è diventata la colonna sonora dello scudetto dell’Hellas Verona calcio.
Curiosamente sia “Verona Beat” che “All my Love” sono del 1979.
Io mi preparo per uscire con la mia bicicletta da cross gialla e rossa mentre la mamma chiama mio fratello.
Mi raggiunge in salotto con lo sguardo di chi non è d’accordo Denis; come ogni mattina saluta grattandosi la testa piena di capelli arruffati. Si siede sullo sgabello, l’unico della cucina non travolto dalla luce del sole.
Sapevo già dove si sarebbe seduto e gli avevo preparato la sua merendina preferita e il brick di thè alla pesca.
Mi chiede cosa faccio.
“Cerco degli ingredienti per il pranzo.”
Dal freezer ho tolto due dadi vegetali fatti da me e li ho messi sulla pentola dai bordi alti, pronti per fare il brodo.
“Risotto, ti va? Con il radicchio.”
La faccia che fa non lascia spazio ad interpretazioni: non sembra un piatto che possa piacergli.
Mentre cerco di capire cosa mi serve dal supermercato oltre il radicchio Denis si sposta e va in salotto a cercare un po' di consolazione in qualche cartone animato.
Nel frigorifero sottovuoto c’è un bel pezzo di Parmiggiano Reggiano, non me ne serve molto, 80 grammi circa non di più. Ci sono anche le cipolle bianche, ne tolgo una e la appoggio sulla base di lavoro per dopo. Una tritata finemente mi basta.
Parlo quasi fra me e me.
“Bene, mentre il brodo si cuoce mi preparo. Vieni con me al supermercato?”
Mi sorride dal divano.
“Certo, ci fermiamo anche al bar per fare colazione?”
Risposta che mi aspettavo, annuisco divertito. E’ anche questo uno dei nostri riti.
Nella dispensa di casa a questo punto manca solo l’ingrediente principale, il radiccchio.
Mio fratello Daniele ascolta la mamma con attenzione.
Il radicchio da usare per questo tipo di risotto deve essere quello giusto, croccante, un po' amaro. Il radicchio che usa mamma è quello di Chioggia, viola e bianco, grande di forma sferica, simile ad una palla. Quasi il fratello più grande di quello veronese.
Il Treviso, rosso e bianco, con le foglie dalla forma allungata non va bene per questa ricetta che vuole preparare la mamma.
Io seguo il suo esempio.
Deni, è questo il nome con cui chiamiamo tutti anche adesso mio fratello, è uscito di casa per andare a prendere l’ortaggio necessario.
Stranamente non va alla bottega vicino casa ma in un orto che lo vende a casse, nel comune vicino Loreo, Rosolina; da qui procedendo verso nord in direzione di Venezia il terreno è ottimale per questo ortaggio.
Spetta a mio fratello il compito di andarlo a prendere “in loco” perché in quel preciso momento è l’unico che può spostarsi con il motorino.
Rientro dalla bottega del signor Roberto che l’odore di miscela al 3%, miscela di olio e benzina che alimenta il motore a due tempi, che alimenta il Bravo Piaggio rosso di mio fratello riempie ancora l’aria davanti il garage.
Il Bravo Piaggio fra i ciclomotori dell’epoca era il fratello maggiore del più diffuso Ciao Piaggio; la sua data di nascita è il 1972, direttamente da Pontedera in provincia di Pisa sede della Piaggio. Ha solcato le strade italiane fino al 2001 quando i più comodi scooter e scooteroni lo hanno sopraffatto.
Entrambi i ciclomotori Piaggio avevano la capacità di potersi spostare anche senza carburante, diventando al tempo stesso le più pesanti delle biciclette.
Se il Ciao era leggero e di forma snella, il Bravo appariva più robusto e compatto, a partire dal serbatoio, più ampio grazie ai due depositi.
Il Bravo era dotato di una sospensione posteriore e una sella più lunga, differenze principali differenze con il fratello minore. La sella era la parte che veniva immediatamente cambiata dal proprietario del ciclomotore una volta giunto a casa.
Mio fratello fece lo stesso, cambiando subito la lunga e anonima sella allungata del motorino con una sella nera e oro marchiata Camel.
Il telaio in ferro era interamente verniciato, rocco vivo nel nostro caso ed era così solido che permetteva il trasporto contemporaneo di tre persone.
Il rombo del suo motore iniziava a sentirsi sulla curva all’imbocco del quartiere per fermarsi poi sotto le finestre di casa.
Il radicchio per il risotto era arrivato in sella al motorino di mio fratello.
L’acqua nel lavello scorre fredda, sulle sponde ho appoggiato le due estremità di uno scolapasta in silicone verde, richiudibile, ottimo per lo salvaspazio domestico.
Il radicchio del piccolo supermercato è già pulito, privo di sabbia; lo sciacquo e lo taglio subito a fette. Lo passo poi in un’altra ciotola con nuova acqua, pulita, dell’aceto bianco e un pizzico di sale.
Lo lascio in ammollo trenta minuti.
“Mi passi la cipolla bianca?”
Sguardo perplesso, domanda secca.
“Mi puzzeranno le mani?”
“No, finchè non la tagliamo le tue mani non avranno un odore sgradevole. Se proprio ti sembra che non abbiano un buon sapore in casa abbiamo tanto sapone!”
“Mmm, no, no, preferisco che le prenda tu!”
Non c’è verso di spostarlo dalle sue convinzioni e mi tocca arrangiarmi da solo.
Affetto la cipolla molto fine e la sposto poi su un piattino più piccolo.
Sul gas c’è la padella larga con la cipolla tritata e degli abbondanti giri d’olio.
Le mani di mamma si muovono velocemente fra le ciotole e i piatti; ogni tanto passa svelta il dorso delle mani sul grembiule per asciugarle.
Nella padella adesso ci sono il radicchio, la cipolla e l’olio; tutto sfrigola dolcemente come in una sinfonia domestica e tutto ha un ottimo profumo.
“Passami il riso.”
Prendo la scatola di cartone con il grande gallo verde che sorride disegnato e lo passo alla mamma che se ne versa un po' sul palmo della mano e subito la richiude a pugno. Mi spiega il segreto per non sbagliare mai la dose di riso per il risotto.
“Devi mettere un pugno di riso per ogni persona seduta a tavola…”
Sorride mentre me lo dice, sorride sempre quando mi spiega le cose.
Annuisco ma non ci riuscirò mai; ho le mani grandi e il rischio di fare dosi doppie è tangibile. Userò sempre la bilancia.
Dopo un paio di minuti di cottura verso tutto il riso nella padella antiaderente e alzo la fiamma del gas per tostare meglio il riso. Devo cuocerlo fino a farlo diventare perlato.
Verso il vino bianco sul riso e lascio andare per far sfumare il liquido alcolico.
Mamma posa sul ripiano il bicchiere di vino bianco con disegnato un’immagine di Paperino, ricordo di tante fette di pane con la Nutella preparateci per merenda. Accende con una fiamma dolce la pentola con il brodo vegetale per averlo caldo quando le servirà.
Dallo stereo Toshiba le adesso le note sono femminili, una canzone che mi sembra più notturna che da pausa pranzo ma la radio la trasmette da giorni un po' a tutte le ore.
Curiosamente è un’altra canzone del 1979 cantata dall’italiana Viola Valentino e si intitola “Comprami”.
Aggiungo il brodo al riso e abbasso il fuoco.
“Se, non sai da un film a colori/ portar via le frasi agli attori/ Se, per te il sabato sera/ Non c’è mai una donna sicura…”
La mamma la cantava una tonalità un po' più alta ma la sapeva tutta, come tante altre canzoni trasmesse alla radio nel periodo, io mi limito a ricordare delle stesse canzoni buona parte delle parole e mentre il riso inizia i suoi quindici minuti di cottura, continuo a cantare.
Canto mentre mescolo senza fermarmi il contenuto della pentola, lavorando con entrambe le mani quando aggiungo il brodo al suo interno in modo che non si asciughi troppo.
Il riso carnaroli ha uno splendido colore.
E’ il momento di spegnere il fuoco e aggiungere una noce di burro e poco meno di un etto di Parmigiano Reggiano.
Adesso mescolo più forte per far sciogliere il poco burro aggiunto necessario alla mantecatura del risotto.
Il mestolo è adagiato dolcemente sul piano di lavoro in acciaio.
“Adesso ti faccio vedere come si muove tutto il risotto senza che nulla cada per terra.”
Aspetto in silenzio.
Denis mi guarda incuriosito.
La mamma da un colpo secco alla padella, alzata di un paio di centimetri dal fornello; prima un colpo deciso in avanti, quasi una spinta, poi uno altrettanto deciso all’indietro. Il risotto contenuto nella pentola si alza appena, da vita ad una piccola onda dai riflessi rosati e si ripiega su se stesso.
Riposa sul piano la pentola, mi guarda divertita.
“Hai visto che bell’onda che abbiamo fatto?”
Denis mi sorride e guarda per terra l’assenza di riso, che davvero nulla è caduto dalla pentola.
Mentre impiatto il risotto all’onda lo osservo seguire l’inclinazione del piatto, muoversi mentre con il palmo della mano do dei colpi decisi sul fondo della stoviglia.
Dalla tavola nell’altra cucina sento le voci di mio fratello e del papà che commentano qualche notizia detta alla televisione. Adesso il Toshiba non canta più e tocca alla Grundig con il tubo catodico, profondo ed ingombrante, raccontarci cosa accade nel mondo.
“Dai, portiamo due piatti a testa che mangiamo tutti assieme:”
E’ domenica, c’è una bella giornata di sole fuori dalla finestra, il gatto nero si ferma a guardarci dal davanzale, Denis mi accompagna mentre raggiungo il resto della famiglia a tavola.
La televisione non parla, parliamo solo noi, di tutto un po'.
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