Romagna Mia

Non è solo maltempo, non è un acquazzone particolarmente carico e potente. 
Non è solo un problema di siccità, di terreni aridi diventati impermeabili, terreni sigillati per difesa naturale.
No, è un'alluvione iniziata il 2 maggio 2023 e ancora oggi che siamo al 20 di maggio non pare aver fine. 
È un'alluvione che ha trasformato la Romagna in un unico, grande ed irraggiungibile, lago. Un'onda di piena che ha trasformato il profilo di case, colline, imprese, fiumi, vite. Vite soprattutto. Soprattutto vite fragili, impossibilitate a spostarsi, a salire le scale e raggiungere un semplice primo piano. Vite tornate a casa dopo il vagare per lavoro o per studio.
La forza dell'acqua ha cambiato fisionomia a colline, strade, ferrovie, lasciando il promemoria di quanto fatto dall'uomo. Soprattutto quanto non fatto.
Le immagini che rimbalzano da telegiornali e gli altri mass media raccontano di quanto fragile sia la nostra vita, lo scorrere del nostro tempo. Nello stesso lasso di tempo ci possiamo rendere conto di quanto poco basti... anche per evitare queste scene. Di quanto le amministrazioni (non entro nel merito del colore politico di riferimento alla guida) semplicemente non operino nella prevenzione e nel mantenimento come necessità e logica impongono. Lavori sulle strade, sulle montagne, sui greti di fiumi e torrenti non vengono fatte con la necessaria regolarità quasi che fosse impossibile disporre dei fondi necessari e calendarizzare gli interventi. Ben inteso, non solo in Romagna oggi, in tutto il resto del paese perché la conta dei disastri ambientali e del dissesto idrogeologico del nostro paese da quando siamo entrati nel nuovo millennio ha dato vita ad una tragica filastrocca che tocca il Piemonte come la Campania, la Lombardia e la Liguria, le Marche e la Sicilia.
Siamo un paese fragile, viviamo in un paese fragile, forse il più fragile del continente ma non c'è traccia di prevenzione. Non dopo vent'anni, venti mesi, pochi giorni.
La Romagna oggi è una regione ferita, immersa in una pozza fredda di fango ed acqua, alle prese con la triste contabilità dei da noi, dei morti, delle case distrutte, delle aziende costrette a chiudere, dell'agricoltura azzerata.
Pnrr o meno (e sembrano essere meno di quelli previsti e che servono i fondi destinati alle emergenze climatiche e idrogeologiche del territorio) davanti a uomini, donne e ragazzi che spalano fango da case e strade viene da chiedersi semplicemente perché? Perché non si puliscono più i letti dei fiumi? Eppure la Romagna e le aree vicine sono terre di "scarriolanti", uomini che con la carriola appunto spostavano tonnellate di fango e detriti dai fiumi, dai canali, ne pulivano le rive. Oggi non ci sono più, sono cambiati i tempi d'accordo, tutte le zone ritenute "sfruttabili" sono state scavate, disboscate, cementificate e abitate. Si, abitate. Un'amministrazione che tuteli davvero il patrimonio ambientale in primis non avrebbe mai permesso di rendere edificabili i terreni golenali (area verdi vicino gli argini dei fiumi pronte ad accogliere le acque esondate di canali e fiumi) o le colline che senza la protezione dell'albero piena d'acqua trascina a valle ville e abeti, tutte insieme disegnando sulle mappe strade nere che sono ferite aperte.
Sono virali i video dei romagnoli che spalano e cantano "Romagna mia", inno delle balere e ora eletto a nuovo inno di rinascita. 
Ci vorrà ancora tanto tempo, tanti giorni ad osservare il cielo e spalare lontano il fango dalle porte di casa. Qualunque casa sia. I romagnoli si rialzeranno, riprenderanno in mano le loro vite, i loro affetti e si spera le loro case, i loro effetti personali. Quando capiranno, Governo e Regioni, che i fondi servono, vanno necessariamente trovati, perché a questo punto si tratta di investire sulla tutela della vita della propria gente.
Romagna Mia, e non solo.


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