Piccoli gioielli

Una città solitamente vive, è viva in ogni istante della sua vita. Si offre ogni giorno a chi la vive coi suoi battiti coi suoi sguardi, a volte languidi, a volte vivaci. Si offre ammiccante mostrando strade, ciottoli, portici, bandiere, finestre.
I colori che si accendono come luci ogni giorno, ogni mattino a partire dall'alba o semplicemente dalla fine del tramonto. E la città che vive ha bisogno di stimoli nuovi, infrastrutture nuove e servizi, statue anche che ti guardano, che ci sbatti magari contro. Deve essere accogliente e aperta ma decisa al tempo stesso, per non svendere se stessa, la propria anima.
E se la città è piccola spesso risulta più bella, più invogliante per chi la osserva lontano. Un gioiellino, qualcosa di lucente incastonato nella geografia nazionale. Ma i gioielli si sa, devono essere lucidati, puliti dall'ombra scura che intacca il metallo, nobile o povero che sia. La mancanza di cura, di attenzione impoverisce il gioiello, lo svaluta, lo rovina. 
A case, palazzi, negozi su vede lo stesso; le statue si ingrigiscono, assumono quegli sguardi severi e freddi che ricordano magari qualche insegnante del nostro passato. 
Gli edifici come i preziosi e gli anziani mostrano velocemente i segni del tempo che passa. Gli intonaci perdono colore e vita, si smorzano sopra insegne vecchie per negozi nuovi che nulla c'entrano con la stessa insegna.
Le città hanno sempre bisogno di una guida, una mano che l'accompagno nel percorso, nell'aprirsi al mondo che la visita. Quel mondo che chiede anche aiuto, sopravvivenza e sussistenza. Una guida, ecco. Che apre le finestre, che faccia entrare aria pulita e fresca, ogni giorno.
E invece spesso non succede, anzi. Succede che ci si ritrova a passeggiare sotto portici scuri, bui, svuotati della loro vita, quella che serve solitamente per essere attraente. Le serrande rimangono giù, sempre per più tempo, sempre più spesso, le finestre chiuse e mani tese che ti chiedono l'elemosina sotto i poster dell'ultima mostra. 
È una città che si svuota, che muore lentamente perché chi la guida guarda altrove, gira lo sguardo, sorride a favore di camera.
E le statue alla fine scendono dai piedistalli, scappano, lontani dalla città che non si ricorda di loro, che non vuole vivere. Che chiude porte, finestre e serrande.

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