La domenica mattina in città ha i ritmi sonnolenti, quasi da letargo. Indifferentemente dalla stagione in cui ci si trova. Sono ritmi lenti, risvegli faticosi quasi come a trovare un bar aperto per il caffè prima di aprire il negozio. L'apertura a macchia di leopardo non l'ho ancora mica capita e mi rabbuio a pensare all'altra vita, quando ero un giovane barista alle prese con la colazione; sempre i primi ad aprire e gli ultimi a chiudere. Altri tempi evidentemente. Adesso la colazione in prossimità del lavoro è quasi una caccia al tesoro, sempre con l'incognita di non trovare altri avventori seduti ai tavolini del bar aperto. Mica per una qualsivoglia specie di agorafobia, anzi. Solo per poter leggere un pò il giornale, magari col collega del negozio vicino. Il giornale, già. Non si trova, come non si trova un tavolino in cui poter almeno pò inzuppare il cornetto nel cappuccino. Resta il bancone, defilato ma pur sempre bancone, osservando gli avventori col giornale bene aperto sul tavolino, surrogato di una tovaglia. Il giornale serve da input alla discussione fra ottuagenari con lo sguardo perso in qualche angolo della piazza antistante il bar e ottuagenarie ingioiellate di tutti i gioielli in possesso e con addosso un rossetto così rosso da risultare fastidioso. Quasi come il canino dipinto in bella mostra che ostentano salutandomi. La città dorme ancora, io vorrei dormire ancora ma questa platea particolare richiede la mia massima attenzione, parlano, domandano, smaniosi di sentire la risposta. La stessa domenica dopo domenica. Inizio la routine di tutti i giorni che non cambia se è domenica o meno ed osservo i primi passanti in galleria in una domenica che la città dorme. Runner, runner agguerriti che scappano probabilmente da faccende domestiche, un pò di smart working arretrato o da partner smaniosi di iniziare i lavori domestici. Energumeni con cani piccolissimi al guinzaglio o elfi sbarbati con Sansone al guinzaglio (si, l'alano nelle strisce di Topolino). L'apertura è sempre "emozionante". Inizia dall'accende, gli altri negozi apronmo appena dopo di mere tutte le luci, come un segnale silenzioso i faretti che illuminano le vetrine attirano oscuri passanti verso le stesse e ti osservano, un pò timidi, un pò assonnati come la città, un pò perchè non stanno capendo bene cosa stia succedendo. Porta spalancata. Cliente. "E' aperto?", la risposta che ti viene subito sai da solo che non puoi dirla, inventi. "No, facciamo solo prendere un pò d'aria al negozio signora.". Immobile, in silenzio. Sorridi per far capire che è aperto, che il poster dietro di te è il pannello degli orari in realtà, lo stesso che ti dice che si, siamo aperti. I primi clienti che entrano la domenica resto dell'avviso che possano essere tutti soggetti adatti ad un qualche studio scientifico sulla fisiognomica sicuramente ma anche sulla psiche umana. Mentre la città dorme ancora un affrettato signore scarsocrinito entra in negozio senza salutare e va diretto verso l'angolo opposto all'entrata. Lo seguo con lo sguardo; afferra l'articolo indispensabile alle 9:32 di una domenica mattina e viene con passo sempre spedito alla cassa e posa l'articolo sul piano. Lo guardo, sorrido, scansione il codice a barra, incasso. Il cliente esce apparentemente di fretta e contento. Rimango in silenzio mentre lo osservo uscire dalla galleria; cosa se ne farà di una spazzola per capelli? Per fortuna la routine della domenica consente qualche attimo di pausa, la possibilità di fare qualche spostamento con un pò di calma anche se ti passano sopra mute di cani di taglia inferiori al mio piede numero 47, tutti tenuti allo stesso guinzaglio da novelli Fogar in piena spedizione polare. Mi sposto, guardo la muta di cani improbabili ma non vedo Armaduk. Riprendo il mio lavoro, mi sposto fra cassa e area vendita chiedendo una indefinita quantità di volte "permesso" per fare lo slalom in mezzo a coppie annoiate, forse rotolate all'interno del negozio per sbaglio, altre coppie che discutono neanche troppo discretamente perchè uno dei due non voleva proprio saperne di entrare in negozio la domenica mattina. il bar chiuso lo ha fregato. Mentre osservo quasi divertito, per nulla dispiaciuto, altre piccole discussioni (quasi sempre riguarda la gestione dei bambini, troppo piccoli per non voler toccare giustamente tutto e troppo lamentosi secondo uno dei due genitori) mi accorgo che la galleria ha preso un pò più di ritmo. Passano agghindate con il vestito della domenica coppie di tutte le età dirette probabilmente verso una colazione "cornetto e cappuccino" o più semplicemente verso il monomarca di moda all'altro ingresso della galleria; a giudicare dai sacchetti di carta e dalle scatole degli ordini on line buona parte della città non aspettava altro che la domenica per ritirare il tanto agognato collo. Intravedo dall'altra parte del corridoio i visi tutt'altro che allegri delle colleghe. E? domenica per tutti purtroppo. Anche per la signora che si ferma a chiaccherare con la "cara amica, che non ti vedevo da un bel pò-.." sul conta persone, oscillando come presa dal ballo di San Vito. Stringe in una mano uno di quei guinzagli retrattili che si allungano di chilometri e che hanno la capacità di essere sottili, molto sottili. Così sottili che all'interno del negozio se non hai la capacità di movimento di un vietcong finisci con le caviglie garrotate dal guinzaglio e un cane ringhiante che ti osserva. Il sole che illumina il vetrocemento del soffitto mi dice che è mezzogiorno, che le coppie dal passo spedito vanno spedite appunto verso l'aperitivo in piazza , nel salotto buono della città, ora che la messa è finita. Vorrei andare in pace anche io ma il negozio in questo momento della domenica sta vivendo la sua metamorfosi in parco giochi, libero, una sorta di terra di nessuno dove tutto è consentito e infatti questa è anche l'ora i cui tutto scivola di mano, cade per terra il fragile e il non fragile, dove si iniziano a sentire le frasi "il signore si arrabbia", "vedi che le telecamere ti vedono" (che già a scriverla così...) . Penso che a volte il commesso, l'addetto vendita, in qualsiasi tipo di negozio lavori meriterebbe più rispetto ma sono cosciente che il rispetto non tutti lo sanno dare. A cominciare dai saluti a volte. Verso l'ora di pranzo quasi tutte le domeniche la galleria e il negozio sono vuoti, è fisiologico. Passano solo i ragazzi delle consegne a domicilio, i rider che portano pranzi e aperitivi nelle case di Udine. E dopo i rider passano altri della stessa etnia, forse dal Pakistan, forse dall'Afghanistan che si muovono per la città in piccoli gruppi, con gli auricolari, con il gel sui capelli scuri, con il vestito buono del giorno di festa intenti a farsi foto, selfie, davanti le vetrine dei negozi della galleria. E' un invio continuo legati al wi fi degli stessi negozi, appiccicati quasi alle vetrine; forse alle famiglie, forse agli amici rimasti la, un modo forse per dire che una parte del cammino è quasi compiuta. Alcuni entrano veloci solo per acquistare un apio di forbicine taglia unghie, nulla più. I più arditi negli anni hanno chiesto un cavo di ricarica. E' domenica, il dopo pranzo è una lunga pennichella collettiva, un pò al ristorante, molto a casa a seguire lo sport alla tv, quasi come una volta. E' il momento della ripresa, quell'attimo in cui prima di sederti nell'area food dello spogliatoio e goderti uno strameritato caffè metti un pò a posto il negozio, rimetti in ordine articoli altrimenti dispersi per le corsie. Un attimo che ascolti la canzone che passa alla radio e arriva lei, la signora ottantenne che nonostante tutto è uscita nelle ore più calde. Ti saluta e ti urla quasi "Meno male che siete aperti, non sapevo dove andare!". Ne è convinta mentre lo dice. Lo sono anche io mentre dentro di me inizio a pensare le cose più brutte da dire e che so che non dirò. La signora continua. "Era così brutto quando chiudevate per la pausa pranzo...". Sorriso di circostanza, ghigno magari. Non dico nulla, me lo impongo perchè so che questa sua battuta è diventato un convincimento di tanti, giovani, coetanei, anziani. Un dato di fatto difficile ormai da cambiare (ci sono anche tante de valide ragioni economiche ovviamente, ma quelle sociali andrebbero a volte nella direzione opposta) ma altrettanto difficile da vivere per chi questa professione la svolge e magari ha famiglia, figli, cani. Chiaro che soprattutto post pandemia tutto quello che ha il segno "+" davanti nel mio lavoro è oro colato (pandemia ma anche crisi internazionale, energetica, bellica hanno spostato equilibri e bilanci) però leggendo un messaggino di tuo figlio mentre sei al lavoro ti rendi conto che sei uscito di casa mentre tutti dormivano, mentre per strada eri solo con il furgone del latte e che il tempo passa e sta passando anche se la città dorme, se la domenica per gli altri può sembrare pigra. Decido di guardare avanti, di guardare quello che ho, di guardare chi sta peggio. Decido di guardare anche il negozio; l'accento è dell'est, è marcato. È domenica, giorno di festa anche per quel nutrito numero di badanti che vivono in città vicino a noi. Comprano giochi, candele, accessori per il bagno e batterie alcaline, tante davvero. Chiedono la polarità, quanto durano, se vanno bene per tutto. Sono i due i minuti più lunghi della giornata ma la trattativa si chiude. Una volta a casa la signora dell'est impacchetterà le cose appena acquistate e le manderà a figlia, nipote, amici che sono rimasti "là". Sorrido, ormai la domenica è ben avviata. Manca poco al cambio turno.
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