Vivo in una cittadina del Nord Est, una di quelle città che a fatica raggiungono i centomila abitanti, dove quasi ci si conosce tutti, dove si notano subito le assenze. Una di quelle cittadine che respirano a pieni polmoni l'aria fresca delle montagne alle spalle, dove si lavora alacremente, dove tutti lavorano e puoi lasciare la porta di casa aperta. Vista così è uno spicchio piccolo di paradiso. I palazzi parlano di Venezia, quella della Serenissima, di Austria e di Francia seguendo i passaggi della storia e delle dominazioni. Una cittadina che si muove apparentemente lenta, con ritmi che magari in altre aree geografiche del Paese non si capirebbero. L'isola felice verrebbe da dire, da scrivere.
Però ci sono tanti però, specie adesso che siamo nel 2023 e il mondo sta andando verso una pericolosa deriva sociale.
È una cittadina del Nord Est, quello che un tempo era ricco, in tutte e tre le regioni che tutt'ora ne fanno parte. Quello che assomiglia alla formica e non alla cicala. Quello che la sera si trova ma non sempre al bar, fra gli amici, che era terreno fertile per il servizio di leva, ricco quindi di caserme, forze armate e ricco in tutte le attività che attorno ad esse gravitavano.
Città e regione di fiere, di mobili, di sedie, di grande sport, di parate militari e aperitivi in stile liberty.
Adesso chiudo la porta blindata del mio negozio ed esco dalla galleria e mi incammino verso casa un po' troppo perplesso. Osservo il plateatico della piazza-salotto, osservo la bandiera della città garrire dall'alto della torre del Castello. E ascolto.
Ascolto la città che vive ma vive male, che sorride forzata ma non ride, che parla lingue e dialetti che non so riconoscere.
Sento anche gli sguardi addosso. Sguardi che sono gli stessi che qualche attimo primo passeggiavano per le corsie del mio negozio. Passeggiavano furtivi in verità. Osservavano dov'era la collega, dov'ero io per prendere qualcosa, qualsiasi ed uscire senza pagare. Magari per raggiungere gli amici al parco vicino, lo stesso dove negli anni passati si poteva stare seduti a parlare con gli amici sotto le stelle, dove si poteva godere del cinema all'aperto sotto le stesse stelle. Lo stesso giardino dove adesso c'è odore di cannabis, bottiglie vuote e sguardi di traverso.
Cammino e mi rendo conto che gli anni dal mio arrivo qui sono passati e sono passati velocemente, forse troppo. Quello che vidi i primi giorni qui adesso ha lo sguardo debole, ferito dei palazzi vuoti, chiusi e abbandonati. Hanno voci sconosciute di chi si pensa possa essere qui solo di passaggio. Hanno portici maleodoranti come le metropoli più in là nella cartina geografica. Vivo in una cittadina che adesso è anziana, sola ed abbandonata. Vivo in un quadrilatero racchiuso, esposto quotidianamente alla furia di chi è qui di passaggio o per salvarsi da guerra e miseria.
Osservo anche vuoti ben più gravi; assenze che hanno spiegazioni a volte troppo semplici e che sono politiche ed economiche e vanno sotto i nomi di amministrazione cittadina e sicurezza.
La prima a volte decide con i numeri della seconda con il risultato di evidenziare quello che non c'è piuttosto quello che c'è. Assenze che anche qui nel Nord Est significano disamore, insicurezza, critica feroce.
Anche se l'amministrazione cittadina è nuova, anche se le forze armate sono poche e con evidenti problemi di budget.
E come nelle grandi metropoli che un tempo si guardavano con invidia subiamo, forse troppo in silenzio, scorribande e atti violenti di chi è ospite, furti, arroganza di chi cerchiamo in qualche modo di aiutare.
Nel silenzio e nell'assenza, si badi, di chi questa piccola città la sta governando.
Vivo qui, nel Nord Est.
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