Gigiriva

Freddo pungente, inverno pieno. Gennaio che volge al termine. Il sole è più un fastidio per gli occhi che un beneficio; illumina potente le finestre delle camere che guardano ad est, dove nasce il sole.
Mi piace, ha qualcosa di familiare, il freddo, l'inverno. Mancherebbe la nebbia a dire il vero ma sono più a nord dei miei anni più giovani e non è un fenomeno così diffuso a queste latitudini. Non nascondo che quando la nebbia si palese mi sento quasi sadicamente, " un po' più a casa".
Il tg passa le prime news del mattino, più o meno le stesse della sera prima. Una la seguo con più attenzione di altre, mi fermo a guardare il servizio fatto con vecchi pezzi in bianco e nero delle teche Rai, immenso archivio storico, e opinioni dei giorni nostri. 
I pezzi in bianco e nero, sono rallentati, un po' scoloriti. I protagonisti dei filmati non sono mai gli stessi, tranne uno. Non importa se quell'unica figura si muove fra altre figure più grandi e grosse, se è seduto su una spiaggia dalla sabbia bianchissima e un maglione che forse è bianco o forse grigio.
Non importa se vedi la figura saltare in aria in un cielo terso, dall'aria soffocante, camminare con un pallone da calcio stretto in mano.
La figura riempie, anche solo con il nome, lo schermo, le pagine dei giornali, l'aria attorno a chi lo sta descrivendo.
Sapeva di calcio, il calcio che parte dagli anni '60 e arriva agli '80, che arriva in Messico, abbatte il muro tedesco e regala la leggenda (non dirò come andò la finale di quel mondiale perché per tutti noi Messico '70 è solo Italia-Germania 4-3!), e ne sapeva così tanto da attraversarlo con la schiena dritta fino ai giorni nostri. Fino a Berlino 2006, alla coppa alzata al cielo e il dissenso mai celato per chi salì sul carro dei vincitori.
Se ne è andato nel silenzio che lo ha sempre contraddistinto, nel giorno della finale di una Supercoppa Italiana improponibile nel format a misura di petroldollari.
Gigiriva, tutto attaccato, il miglior attaccante azzurro ha deciso che era ora di salutare, di lasciare la sua isola e Cagliari (lui varesino adottato una vita fa dai sardi, dalla Sardegna tutta), il suo calcio.
Io che l'ho visto correre, esultare solo sui filmati in TV o nei ricordi di papà, ne sento la mancanza fin d'ora. L'ho ascoltato tante volte, interviste in televisione o sui giornali; mai banale, mai scontato, mai volgare.
Punto di riferimento per tutto il calcio e i calciatori che sono entrati in contatto con lui, Luigi Riva, Gigiriva. Il Rombo di Tuono.
Per me l'immagine più bella è in vecchio filmato dall'Azteca di Città del Messico. La maglia azzurra addosso, il pallone che chirurgicamente taglia in due l'area di rigore tedesca. Le braccia al cielo.
Gol.

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