Finita l'Epifania, che si sa, tutte le feste si porta via, c'è una domenica a fare da filtro fra le festività agli sgoccioli e la ripresa della vita di tutti i giorni.
E piove, molte; la città è vuota, fradicia, appare stanca.
La osservo da casa mia, dall'alto mentre leggo il primo giornale del mattino e mi rendo conto che la giornata anche oggi sarà lunga.
E mentre l'articolo che sto leggendo mi ricorda ancora una volta che siamo entrati in un anno bisestile penso come il giornalista, che si voterà un po' ovunque nel mondo, elezioni politiche a filo di democrazia. O con la democrazia in alcune zone appesa ad un filo.
E non in senso metaforico purtroppo.
Se qualche tornata elettorale alla mia età, ne compio cinquanta fra pochi giorni, ha sempre avuto il sapore del sospetto, del broglio, peculiare di quel preciso contesto, altre nel corso degli anni hanno avuto una sgradevole virata in questo senso, non del tutto inaspettata dati i tempi e il mondo attorno soprattutto. I protagonisti di oggi non hanno, almeno ai miei occhi di lettore e appassionato, nulla a che vedere con predecessori.
Parlo di Usa, la democrazia più grande per autodefinizione, l'esportatrice della democrazia nel mondo come alcune aree geografiche del mondo in verità piuttosto calde potrebbero drammaticamente confermare.
Si vota con i ritmi americani quindi con una campagna elettorale che solitamente inizia quattro anni prima al momento dell'insediamento del nuovo presidente e termina per una ventina di giorni con il giuramento del vincitore; venti giorni tipicamente burocratici, in cui si sa già chi ha vinto, si sa che lo sconfitto riconosce la legittima vittoria dell'avversario e se lo sconfitto era il presidente in carica c'è il tempo materiale per liberare la Casa Bianca, la casa appunto a Washington del presidente degli USA.
Facile, magari lungo e macchinoso, spettacolare come solo certi aspetti della vita negli Stati Uniti sanno esserlo, ma semplice. Passaggi studiati e rivissuti nel tempo per la democrazia a stelle e strisce.
Non più così scontati come sembra però. Almeno nell'ultimo lustro.
Verrebbe da dire riflettendo sulla storia più recente, da quando si è insediato alla Casa Bianca il tycoon Donald Trump, imprenditore-showman-tuttounpo, capace di vincere le elezioni del 2016 al moto di "fare tornare grande l'America". Non era dato sapere allora come oggi in che termini.
Forse politici, forse economici, forse interni, forse personali. Verrebbe da dire di tutto un po'.
Trump è stato un presidente repubblicano accentratore, istrionico, abile nel tessere le trame politiche e personali e un po' arrogante, troppo "yankee", sicuro di sé. Come tante altre cose fatte in passato, e ce ne sono in tutti i settori dell'economia e dello spettacolo, lo di ostrabo del resto. Dove a riportare l'America ad essere al centro del mondo, a portare la propria supremazia più che la democrazia ovunque negli angoli del mondo. La sua parabola è finita con la sconfitta quattro anni dopo mai riconosciuta contro il "vecchio" Joe Biden, vecchio navigante del mondo politico americano (vinse il proprio seggio al Senato negli anni bui di Nixon, nel 1972), otto anni vice presidente di Barack Obama, non l'ultimo arrivato. il non accettare la sconfitta ha portato all'assalto al Campidoglio dei suoi sostenitori, istigati da un palco a impedire la notifica del vincitore il 6 gennaio del 2021. Da quel momento in poi il futuro probabile candidato repubblicano ha dovuto fare i conti con gli scandali sessuali, denaro e pornostar, accuse di brogli elettorali per annullare una sconfitta bruciante, accuse di aver trafugato nella sua residenza privata documenti segreti. Tutti futuri processi per il mai domo Donald che scorreranno paralleli alla sua campagna elettorale, a quel circo mediatico e politico che si o le elezioni americane, alla ricerca dei voti dei grandi elettori. Elezioni che partono già in salita e in modo controverso; molti stati stanno valutando la candidabilità di Trump, alcuni lo hanno squalificato. Su tutto questo trambusto si aspetta il voto della Corte Suprema, curiosamente "forgiata" così com'è dall'amministrazione dell''ex tycoon. Tutto molto bello, tutto molto americano.
In Italia per accuse in parte simili si decade, si diventa "impresentabili" e si esce almeno ufficialmente da un certo mondo politico.
Negli Usa tutto questo sembra fare curriculum, sembra accrescere l'appeal di un candidato oggettivamente impresentabile ma che in senno al suo partito non ha rivali capaci di resistere sul lungo periodo.
Potrebbe, Donald, estrarre il coniglio dal cilindro, rimandare a lungo i vari processi in modo che si possano svolgere nell'anno dell'insediamento del nuovo presidente, secondo i suoi piani ovviamente così da uscirne con l'immunità.
Nuova elezione che avrebbe il sapore del rischio anche per la Costituzione americana stando alle voci politiche che arrivano da oltre oceano.
E il presidente in carica Biden?
L'inflazione è alle stelle, la sua amministrazione è stata incapace di tenere vicino l'elettorato giovane, delle minoranze e dei precari che l'avevano guidato verso Washington. Tutto è andato perso fra gli scaffali dei supermercati, alle pompe di benzina. L'americano medio è in difficoltà, fatica ad arrivare a fine mese e forse ha perso fiducia nel "grande vecchio" (non che Trump sia l'espressione della gioventù, anche questo dato spiega come il mondo politico americano si sia un po' arenato su se stesso). A sancire questa situazione di disamore, oltre alla distanza fra chi è ricco e chi non lo è (e i ricchi propendono per il tycoon) sono intervenute in questi ultimi due anni due guerre che gli Usa, questa amministrazione, appoggia, aiuta economicamente e militarmente. Qualcosa che l'americano medio non sopporta volentieri perché lui rischia la fame e vedo partire negli angoli del mondo fior di milioni di dollari.
Biden si è arenato sui conflitti, sulle richieste di aiuto di Zelensky, sull'odio verso Putin e sulla lunga e irrisolta questione israelo-palestinese.
Entrambe non sembrano vicine ad una conclusione in termini rapidi, tutt'altro.
Entrambe saranno con inflazione e scarso appeal le compagne di viaggio di Biden verso la riconferma.
Riconferma che porterebbe agli Usa una guida forse troppo in là con gli anni per guardare al futuro con ottimismo.
Lo stesso sguardo che c'è in fondo nello schieramento avversario.
Che la campagna elettorale abbia qui di inizio.
E intanto chiudo il giornale, guardo la pioggia cadere.
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