Tregua labile

Una lieve speranza, una di quelle news che la mattina ascolti e la carichi di speranza. Soprattutto dopo sei mesi di disperazione e paura.
L'esercito israeliano si ritira da Khan-Younis, sud di Gaza, ormai cumuli di macerie e profughi invivibile.
Si rivedono le colonne di palestinesi a piedi, in bicicletta, su mezzi di fortuna riprendere quella strada verso casa abbandonata sei mesi fa dopo l'assalto di Hamas ad Israele.
Ma cosa significa che ora e qui i soldati israeliani su stanno ritirando?
Non è chiaro ma è possibile che la forte pressione internazionale su Israele abbia partorito questo evento. 
Non è una tregua anzi ma un rallentamento dei combattimenti visto che i soldati di Davide rimarranno nelle aree circostanti la stessa Khan-Younis.
Adesso più di un milione di civili rifugiati a Rafah tornano alle loro case, caveranno fra le macerie per recuperare oggetti, vestiti, scampoli di una vita precedente.
La guerra non sembra davvero finita perché Hamas non ha perso e gli ultimi ostaggi in mano di Hamas non sono stati liberati. Potrebbe essere una tregua a metà, un nuovo tipo di combattimento "più leggero" anche se questo termine applicato alla guerra appare ridicolo. Tutti scenari ora aleatori.
Nell'ombra rimane la volontà di annientare il nemico da parte di Netanyahu, la sicura vendetta iraniana contro Israele dopo i bombardamenti sia a Gaza che in Libano verso pasdaran e loro accoliti.
Una boccata d'ossigeno nebulosa ma che giocoforza porta con sé un po' di ottimismo perché si possono riaprire corridoi umanitari fermi da giorni ai valichi egiziani, riaprire quelle trattative per liberare ostaggi, dare un futuro certo a Palestina ed Israele, piombato proprio per nani del governo estremista Netanyahu in una zona nera di isolamento globale. Dovrà anche prendere coscienza con il dramma immane prodotto negli ultimi sei mesi. Gaza oggi è sabbia, polvere, devastazione e macerie; la ripartenza è difficile anche solo da immaginare.
Sarà una tregua fragile, delicata ma che tutto il mondo approva. Un piccolo refolo di speranza da opporre al "Non è finita" annunciato da Netanyahu ed ai silenzi preoccupanti dal Cairo e dalla penisola araba.


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