Una curva, trent'anni fa

Non ci capisco molto di motori, proprio nulla. Due o quattro ruote, senza distinzione. Vivo bene ugualmente sia chiaro, anzi, non mi ricordo che senza spostarmi in auto mi sia stato impossibile da realizzare. C'è stato però un momento della mia vita in cui li seguivo, quasi sempre nel weekend, soprattutto la domenica. Il mio mondo a motori era in realtà il grande Circus della F1, quella manciata di Gran Premi (al tempo) in giro per il mondo a 300 km/H. Mi attirava il coraggio dei piloti senza dubbio, quell'andare nonostante tutto al duello motoristico con i piloti rivali, fosse l'asfalto di casa, d'Asia o della Americhe. Tutto quello che c'era da sapere sui piloti, al tempo pochi italiani ma buoni senza dubbio, lo trovavo sulla carta stampata: Gazzetta dello Sport, Guerin Sportivo, Autosprint. Non c'erano i social, solo la voce familiare di Poltronieri che snocciolava il motoristico rosario del weekend su Raidue. Interventi asciutti, chiari, belli. Mi appassionava il disegno di parole che usava per raccontare. Una gara, una pole position, una curva in una giornata di pioggia. Ah, la pioggia, i sorpassi, l'enfasi nelle parole, la velocità. La velocità, qualcosa che da casa non percepisci mai nella sua interezza. Ho amato guardare le auto sorpassarsi in mezzo a foresta, a nubifragi leggendari e i nomi, ecco i nomi, quelli li ricordo tutti, i Lauda, i Prost, i Mansell, i Patrese, gli Alboreto e infine i Senna. Ecco, Senna. Senna era il motivo per cui si discuteva con il papà davanti la tv, per il GP. Lui più portato per il Professor Prost, pulito nella guida, quasi sempre rispettoso del regolamento, io rapito da Lauda prima e da Senna poi. Guide veloci e studiate, quelle guide in cui nulla è lasciato al caso anche se sembrava tutto l'opposto. Lauda che torna dal suo personale purgatorio tedesco e il giovane Senna, brasiliano religioso, mago della pioggia. Inutile dire che la mia simpatia e il mio tifo era tutta verdeoro; un pilota forte, troppo forte, a volte inarrivabile. E nel mio non capire nulla di motori, di cambi, di frizione, tifavo per il pilota brasiliano, per il coraggio in pista, per le parole fuori pista, per quello che Senna significava nel mondo dello sport, non solo motoristico. Guidava e vinceva, a volte provocava, altre perdeva ma non c'era curva che non superasse. fino al Primo Maggio 1994. Quel pomeriggio ero seduto sul divano di casa mia, mio padre nella solita poltrona. Poltronieri come sempre narrava. Fino a quando il destino, una modifica, una curva hanno deciso per tutti. Per Ayrton Senna, per i tifosi, per il mondo intero che ad Imola aveva iniziato a piangere il giorno prima la scomparsa dell'austriaco Ratzenberg. Forse era il momento di correre altrove, forse il cielo sopra Imola quella domenica di maggio voleva di più. Poco prima delle 19 del Primo Maggio 1994 ho smesso di seguire la Formula 1, i motori, le auto. Ho perso l'epopea di Schumacher, di Vettel, di Hamilton e di Verstappen ma non hon rimpianti. Il saluto di Senna è stato qualcosa di dirompente; papà si asciugava in silenzio le lacrime mentre la dottoressa dell'Ospedale di Bologna annunciava al mondo intero quello che il mondo intero già sapeva. Io guardavo. In silenzio. E in silenzio non ho più seguito il Circus.


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