Schiavi e braccianti

Nuovi ispettori, vantaggi fiscali, bollini che certificano la buona condotta. Ma basta davvero?
Sciopero dei sindacati, governo che organizza tavoli di lavoro. Ma basta davvero?
Servizi TV di approfondimento con esperti di settore, quale in verità si fatica ad inquadrare, per trovare la soluzione migliore e rapida ad un problema oscenamente presente in una certa cultura italiana. Ma serve tutto questo davvero?
Da nord a sud del paese, agricoltura, edilizia, industria o altri settori economici che si voglia prendere in esame il lavoro nero esiste, è sempre esistito in realtà, accettato più o meno silenziosamente dalle parti in causa.
Adesso il governo in carica alza la voce, ci prova forse ad uso stampa, forse ad uso opinione pubblica, incontrerà sindacati, sindacalisti, accoliti vari.
Potrà bastare? Adesso forse no, non può bastare perché la situazione lavoro nero ormai da anni si è tramutata in schiavismo come nelle peggiori epoche coloniali. 
Uno schiavismo duro, crudele, che va oltre l'aspetto del lavoro sotto retribuito, mal pagato, nero appunto. 
Qua e là in TV sono apparsi, in contemporanea o in separata sede, alcuni esponenti del governo e rappresentanti delle sigle sindacali ognuno però spiegando il proprio punto di vista. Punto di vista che in alcuni momenti si sposta dal focus della questione.
E la questione adesso è che di lavoro nero, di schiavismo vero o proprio si muore, ogni giorno, nel silenzio, in silenzio. Spariscono invisibili che appartengono spesso a minoranze radicate nel paese da anni. Succede spesso quando arriva l'estate, quando il sole resta alto e caldo nel cielo per lunghe ore, quando frutta e verdura hanno più mercato. Succede quando le terre coltivate appartengono a cooperative, famiglie, aziende agricole per le quali "il nero" è una radicata abitudine dipanatasi negli anni molto probabilmente a più livelli di connivenza, politica-sociale-economica. Spesso nel volgo popolare la raccolta di pomodori nel sud è sinonimo di lavoratori di colori, provenienti dall'Africa in fuga da una vita che non è vita per finire schiavi in qualche tendopoli che all'improvviso prende fuoco, vittime di fatali colpi di calore. Persone che sono private di documenti e mezzi di comunicazione, prigionieri dei caporali che a fronte di due o cinque euro l'ora di stipendio incassano dieci volte tanto alimentando altri mercati illeciti, creando una ricchezza nera e rossa come il sangue.
Come le fragole per le quali Satnam Singh, bracciante indiano al lavoro nelle terre dell'Agro Pontino alle porte di Roma, del governo quindi, ha perso la vita. E per le quali è stato una volta di più abbandonato dal datore di lavoro.
Datore di lavoro che ha dato la sua versione dell'accaduto, al vaglio degli inquirenti.
Satnam non era solo, lavorava nei campi con la giovane moglie, spettatrice attonita di quanto accaduto, ora sola nel paese che col marito avevano scelto per un futuro a colori.
Adesso sono però i giorni del coinvolgimento emotivo dell'opinione pubblica ma come successo purtroppo molte altre volte in passato quando l'enfasi si poserà cosa sarà cambiato?
Vicino alla giovane vedova Soni una rappresentante sindacale che ne ha raccolto per prima la testimonianza, il problema è trovare altri testimoni, altre voci che aiutino ad uscire da questo tunnel un mondo sommerso fatto di quotidianità crudele e feroce.

C'è stata una voce sindacale che spiegava quanto avvenuto al giovane Satnam Singh in futuro possa essere evitato formando il personale, ogni dipendente. Ecco, parere puramente personale, è giusto, giustissimo formare ogni dipendente sul corretto modo di operare in azienda ma in questo come in altri tanti casi l'obiettivo di tutte le parti è quello di non avere più lavoro sommerso, di non veder morire nei campi braccianti, uomini e donne ridotti a schiavi.
Questo è l'obiettivo immediato, superpartes, senza colore politico.
Perché Satnam Singh sia l'ultimo.





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