Luz e Jesse, Berlino 1936

Berlino 1936.
XI edizione dei Giochi Olimpici. Il mondo si sta infiammando lentamente sotto la spinta degli estremismi dopo la tragedia della Prima Guerra Mondiale. 
Berlino 1936 è il mito di Olimpia, il mito di Olimpia diventato capolavoro di regime della regista tedesca Leni Riefensthal.
Carl Ludwig Hermann Lung, per tutti Luz o Lutz, è pronto a competere con i migliori atleti del mondo. Soprattutto è pronto a competere, lui alto e biondo e ariano, con la stella Usa dell'atletica, que James Cleveland Owens che è uscito dalla povertà correndo veloce e saltando, attraversando l'aria. Più di tutti, più di tutti gli atleti conosciuti.
Berlino 1936 è la sublimazione del nazismo. Le Olimpiadi che il Führer Hitler vuole usare per sublimare il regime e la purezza della razza ariana. La guerra che sconvolgerà l'Europa e il mondo è ancora lontana. Prima lo spettacolo sportivo.
Luz è il prototipo dell'atleta ariano, è il campione che in patria salta e vince, nel salto in lungo e nel salto triplo. Viene da Lipsia, ha 23 anni, ha vinto il bronzo nel salto in lungo agli Europei di Torino nel '34, è il favorito, non c'è dubbio.
James Cleveland Owens è già per tutti Jesse Owens, dall'Alabama; è l'altro uomo da battere. Per Hitler soprattutto. Jesse è americano e di colore. A Berlino il trionfo deve essere germanico e ariano.
I destini di Jesse e Luz cambiano il 4 agosto 1936, il giorno previsto per la gara del salto in lungo.
Hitler occupa il posto principale in tribuna, gli spalti sono gremiti per lo più da tifosi e bandiere entrambi inneggianti al regime, l'occhio della telecamera di Riefensthal riprende, Luz e Jesse osservano gli avversari e studiano i rispettivi salti.
Lo stadio Olimpico di Berlino è ancora oggi immenso, gli atleti in pista sembreranno sempre minuscoli, piccoli ed intoccabili. 
Dopo i primi turni di salto Luz è davanti a Jesse che mette a referto due salti nulli. 
Mentre gli atleti cercano di concentrarsi in tribuna nell'andamento della gara si vede lo specchio politico del momento frutto della tensione fra Usa e Germania. 
Però sul prato dello stadio Olimpico ci sono atleti che si rispettano, che sembrano non sentire il clima di propaganda attorno.
L'americano è in crisi, il tedesco più tranquillo. È avanti nei salti e se Owens sbaglia ancora nessuno più gli impedirà di vincere la medaglia d'oro. 
Però, c'è sempre un però, Luz è prima di tutto uno sportivo, sa quanti e quali sacrifici sono stati fatti per scendere su quella pedana. Mentre la propaganda nazista incita l'atleta di casa lo stesso si avvicina all'avversario. Stesi entrambi a pancia sotto sull'erba, in tuta ginnica, parlano fitto fra di loro. Le mani gesticolano accompagnare dai movimenti della testa. Disegnano iperboli, curve, lanci. Sorridono, sorridono sinceri. 
Jesse prende la rincorsa da un po' più lontano rispetto ai primi salti, quasi alla fine e della pedana. La rincorsa, lo stacco, il volo, semplicemente il volo, l'atterraggio sulla sabbia mai così soffice.
Da questo momento in poi Jesse non sbaglierà più nulla vincendo l'oro nel salto in lungo.
Luz sorride, applaude, vorrebbe magari abbracciare l'avversario. Applaude sincero.
Owens alza le braccia al cielo, un cielo improvvisamente muto, il Führer stizzito nel dimostrare il proprio disappunto.
Jesse vincerà altri tre ori dell'Olimpiade della sublimazione del regime nazista: 100 m, 200 m e staffetta 4x100 m.
Esattamente tutto quello che il regime non voleva tanto da far abbandonare al suo Führer lo stadio indignato.
Luz sul podio con la medaglia d'argento fa il saluto nazista, la tuta bianca, perfetto nello stile ariano. Accetta la sconfitta con l'animo sereno, è un atleta, sa riconoscere chi è più forte, più preparato, in quel preciso momento imbattibile.
A Giochi Olimpici conclusi il mondo frana, vittima della follia umana. Jesse torna dall'altra parte dell'Atlantico. Luz torna a Lipsia ma assieme alla medaglia d'argento porta con sé l'amicizia con il collega americano. Amicizia che continuerà per via epistolare negli anni a venire fino a che il destino e la follia hanno deciso per entrambi.
Luz è ariano, è giovane, è tornato ad esercitare l'attività di avvocato ed è diventato padre. È  però anche arruolabile nell'esercito tedesco nel momento in cui le cose per il Reich cominciano ad andare male. Inviato in Sicilia viene gravemente ferito nel corso dell'operazione Husky, lo sbarco degli Alleati nell'isola. Pochi giorni dopo muore vittima della follia di regime e sepolto nel cimitero militare. 
Anni dopo, a carriera finita un anziano signore di colore assiste emozionato al matrimonio di una giovane coppia tedesca. È emozionato, ripensa magari a tanti anni prima, alle parole dure della grammatica tedesca pronunciate con dolcezza da un ragazzo biondo. Pensa ad innumerevoli lettere, alle parole scritte da ricordare. L'anziano Jesse si avvicina allo sposo e chiede di parlargli.
Racconta una storia; racconta di quando a Berlino nel 1936 non riusciva a saltare bene. Racconta di quando l'avversario che tutti chiamavano Luz gli si avvicina, sorridez parla e gli suggerisce di partire più lontano, fin quasi al fondo della pedana. Lui lo ha osservato, secondo lui quello è il punto giusto da cui partire e saltare. Jesse si emoziona, lo sposo anche, si abbracciano. 
Jesse ha mantenuto fede alla promessa fatta all'amico; saputo di dover partire senza possibilità di ritornare per uno dei tanti fronti aperti in Europa aveva chiesto all'americano di raccontare un giorno al figlio chi fosse il padre.
Berlino 1936 è la storia di Luz e Jesse.


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