E se tutte le speranze di pace fossero nelle mani di Donald Trump? Se il tycoon americano, data di insediamento come nuovo presidente USA 20/01/2025, manterrà quanto detto, urlato anzi in campagna elettorale tutte le speranze di pace potrebbero finalmente avverarsi. Si potrebbe nuovamente pensare ad un mondo che procede avanti nel suo cammino senza guerre (con buona pace in realtà di quelle zone appartenenti al sud del mondo in cui i conflitti proseguono da anni e sembrano non cessare mai). Guerra nel cuore del Vecchio Continente, guerra in Medio Oriente mai così vicino come in quest'ultimo anno. Guerre in cui il ruolo americano non è stato mai secondario, non lo potrà ami essere per motivi economici, sociali, geopolitici radicati nel tempo, per fortuna o purtroppo. Se Donald Trump riuscirà a riportare gli equilibri del mondo ad otto anni fa forse la speranza di pace è qualcosa più che tangibile. Ad oggi però sembrano più pesanti le aspettative, le speranze appunto, della realtà. Sono appunto passati anni dalla precedente nomina a presidente americano del tycoon. E il mondo ha conosciuto le sue sfumature più buie. L'incertezza politica del gigante yankee ha lasciato spazio a quei movimenti estremisti di carattere religiose c he hanno nell'Iran il loro principale finanziatore e sostenitore. La famosa lista degli stati canaglia tanto cara a Washington che ha subito una accelerata notevole nell'ultimo mese con la decapitazione dei vertici di Hamas ed Hezbollah da parte di Israele ormai in guerra con tutti gli stati nemici nel quadrante medio orientale quasi a voler preparare il terreno alla resa dei conti con gli Ayatollah di Teheran. All'annuncio della tregua israeliana (anche se è rimasta più virtuale che reale) ha fatto da contraltare la caduta del regime siriano di Assad. I ribelli ora al governo hanno approfittato dell'incertezza mondiale nata dalla fine della presidenza Biden sempre troppo precaria, dal logorante conflitto fra Russia ed Ucraina (a causa del conflitto è venuto meno il supporto storico della Russia alla Siria) e dalla campagna bellica di Israele ormai senza freni. In questo stato di confusione bellica ex jihadisti, ex appartenenti di Al Qaeda hanno fatto fronte comune sotto l'ombrello del sultano turco Erdogan e inaspettatamente presa Aleppo nel nord della Siria non hanno trovato ostacoli nel muovere verso sud, verso la capitale Damasco ormai abbandonata dal dittatore Assad in rotta verso Mosca. Se il governo ribelle sia davvero un bene per i siriani stremati da cinquant'anni di dominio e dolore è presto per dirlo anche se le prime dichiarazioni sembrano lasciare spazio al pensiero positivo. Può però essere una sensazione effimera perchè gli avvenimenti storici che hanno caratterizzato la regione nei secoli non lascia spazio o tempo a momenti di stasi pacifica. Molto appunto dipende dalla nuova strategia di politica internazionale di Donald Trump, già chiamato in causa dai superstiti di Hamas per definire le linee guida di una tregua con Tel Aviv necessaria oggi più che mai, soprattutto per la popolazione palestinese ormai allo stremo. A Trump inevitabilmente guardano anche i ribelli di Damasco sicuramente consapevoli che oggi come oggi l'alleato americano garantisca più di quello storico russo, Russia che proprio in questi giorni ha deciso di abbandonare le basi in Siria, quelle stesse basi che da anni rappresentano lo sbocco nel mar Mediterraneo. E dell'importanza di essere un nome pesante nella geopolitica mondiale ne è consapevole lo stesso Trump che per la cerimonia di insediamento fra i tanti ha invitato anche rivali e nemici o personaggi comunque controversi come Xi Jingping ed Orban. Un modo deciso di mettere in chiaro chi può decidere ancora di buona parte dei destini del mondo. In questa sorta di euforia unilaterale spiccano le velate minacce che dagli Usa arrivano a Teheran su un probabile attacco missilistico. L'anno che finisce porta molti più dubbi nonostante tutte le aspettative dell'anno che si sta per chiudere.
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