E' la storia di una rotaia che non regge più il peso del tempo che passa, dei treni che vanno e vengono. Della manutenzione che c'è e non c'è e se c'è non è abbastanza perché il compito di farla si perde in meandri labirintici di appalti, subappalti, su subappalti fino a perdere il senso dell'orientamento di dove sia il principio.
E' la storia di un paese che spesso è diviso a metà, letteralmente, con minuti che diventano ore, ore che diventano giorni e viaggiatori in attesa in sale che non sono d'attesa ma piccoli gironi infernali quattro stagioni.
E' la storia della locomotiva a vapore che sbuffa più per stanchezza che per potenza, uno sbuffo che diventa borbottio come una caffettiera.
E' la storia di linee e tratte che non sono semplici viaggi in treno ma moderne odissea che impediscono il naturale rientro ad Itaca.
Fu la rotaia danneggiata poi fu un chiodo piantato, battuto dove non doveva a creare un taglio netto a dividere in due il paese.
Poi un altro taglio netto ai pantografi che permettono al treno di muoversi ad isolare case, paesi e città. Persone, pendolari e turisti, uniti assieme nell'attesa kafkiana di un treno che non partirà.
Nel 2025, questo l'anno indicato nel calendario, 186 anni dopo i 7 chilometri e poco più della Napoli Portici, ferrovia dell'allora Regno delle Due Sicilie, prima ferrovia della penisola italiana.
Forse fu solo per la presenza del vapore, del carbone che il treno arrivò puntuale a destinazione, forse perché era semplicemente il progresso, uno sviluppo incredibile ed impensabile per il territorio, fiore all'occhiello dei sovrani dell'epoca. Forse.
Forse quella era la storia, il primo vagito di qualcosa di enorme, di grandem capace di unire la penisola, poi l'Italia intera con il treno. Che attraversa città, paesi piccoli, lillipuziani e campagne, montagne, costeggia il mare.
Ha percorso nei secoli chilometri di penisola, vissuto passaggi epocali, l'elettricità, l'alta velocità, le carrozze con il servizio ristorazione, le compagnie private, il biglietto acquistato on line e una profonda ristrutturazione delle stazioni ferroviarie (alcune, le più piccole soprattutto, autentici gioielli di architettura sia Liberty che del Ventennio), moderni mall commerciali sul modello anglosassone.
Tutto è stato pubblicizzato sui media, sui social certo. La pubblicità è parte del successo e del progresso ma poi? A media chiuso, a social disconnesso rimangono le rotaie che scivolano sul ghiaino e rendono instabile la tratta, linee troppo obsolete per il transito contemporaneo di treni merci e traporto passeggeri, scali ferroviaria talmente inadatti da rendere pericoloso anche il semplice scarico di un treno bisarca.
Manutenzioni palesemente assegnate al ribasso con danni a strutture e viaggiatori, costi per interventi ordinari che lievitano, personale che si riduce, chiodi, ghiaia, cavi elettrici.
E' una storia di incuria, una storia in cui la Storia non ha insegnato nulla.
La locomotiva sbuffa e avanza arrancando ormai senza guida perché la sua guida è assente, è altrove, sogna qualcosa che aveva e che non ha più, per colpe anche sue per altro.
La guida si chiama Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e come tutti i ministeri è guidata da un ministro capace, presente, "sul pezzo" si direbbe in gergo fra gli amici al bar.
E qui la storia si fa un po' più nebulosa, i contorni più incerti: c'é la guida, c'é un ministro, ci sono quindi suoi collaboratori mancano gli interventi, manca la voglia di sviluppare con manutenzioni corrette e continue, idee soprattutto qualcosa che davvero unisce il paese da nord a sud e che invece da nord a sud ma anche da est ad ovest diventa una moderna Odissea dove quasi non ti interessa più di tornare ad Itaca perché troppo stressato da un viaggio della speranza.
C'é un ministro dicevano, che sogna ponti su un indefinito futuro, che sogna una poltrona diversa, una in cui potersi nuovamente sedere ed indossare felpe e giacche diverse dal fratino catarifrangente giallo.
E' la storia dei un treno che se passa anche una mezza volta è già un piccolo miracolo.
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