E se tutto restasse drammaticamente immobile? Bloccato in questo lasso temporale terribile dove nulla è più possibile?
Israele, Gaza, Gaza, Israele.
Sono giorni frenetici e terribili al tempo stesso. Le diplomazie hanno lavorato a lungo, si stima da maggio 2024 per definire una tregua vera, autentica, mettendo nero su bianco, date, ore, modalità che regolamentassero ogni singolo punto dell'accordo.
Sono scese in campo gli emiri del Qatar, l'Egitto e gli Usa con rappresenta nn ti di entrambe le amministrazioni, quella uscente e quella entrante.
Ostaggi, detenuti, ritiro graduale delle forze Idf israeliane e rientro dei profughi nei territori abbandonati all'alba della guerra (ora cumuli di rovine).
Parole, scontri più che incontri, incontri stessi con le parti fisicamente separate, su piani diversi dello stesso hotel con i mediatori a fare la spola.
A tutta questa ridda di voci, sensazioni, emozioni, promesse sono seguite voci di bambini in festa, dichiarazioni quasi di sollievo dopo 14 mesi di inferno.
La Storia però insegna sempre e quasi sempre non si impara nulla.
Dopo l'euforia globale dell'annunciata tregua è Israele più che Hamas a rallentare, a porre un freno pesante alle condizioni già definite. E questo tipo di intoppo non trova origine nell'opposizione interna al premier Netanyahu (situazione che avrebbe una sua logica politica) in verità per voce del capo dell'opposizione stessa Lapid, ex premier, favorevole a portare a termine la trattativa nel più breve tempo possibile. Lo stop alla tregua e il suo successivo slittamento da domenica 19 a lunedì 20 viene dai partiti che siedono alla Knesset, il parlamento israeliano, fra i rappresentanti di quella Destra religiosa che auspica l'annientamento di Hamas, che è tutt'ora favorevole alla guerra e che la stessa operazione bellica non deve finire; lo stesso ministro della sicurezza israeliano minaccia le dimissioni se la tregua si firmerà. Una posizione intransigente quasi a dimenticare il dolore di chi ancora non sa che destino hanno avuto i famigliari rapiti il 7 ottobre 2023. Un dolore che ignora sia la piazza, richieste di aiuto al presidente Trump sono apparse durante la manifestazione davanti il quartiere generale dell'esercito, sia il mondo politico.
Una situazione che mina inevitabilmente gli equilibri delicati così difficilmente trovati e che mette Netanyahu di fronte ad una decisione che inevitabilmente ne condizionerà il futuro politico.
Gli Usa, soprattutto gli Usa di Biden sono andati su tutte le furie, gli Usa di Trump forse no ma questo è un altro aspetto del Risiko che si sta delineando in Medio Oriente.
Le dichiarazioni di Sinwar, leader di Hamas e fratello del capo storico ucciso da Israele, all'annuncio della tregua raggiunta lasciavano aperto lo spiraglio drammatico si nuovi conflitti, nuovi giorni bui. Quel "i palestinesi non dimenticano" rilasciato alla stampa dopo la fine dei colloqui è benzina sul fuoco, un fuoco che le diplomazie di Usa, Egitto, Qatar forse hanno sottovalutato.
Questa guerra ha creato migliaia di orfani, una generazione di bambini e ragazzi lasciati senza guida, chiusi in tende sulla spiaggia a morire di freddo esposti quindi al reclutamento della milizia palestinese. Se in un momento storico che guarda finalmente alla pace sia Israele che Hamas lasciano aperte le porte al prosieguo del conflitto (cosa che continua ad accadere per l'altro stanti i bombardamenti israeliani) significa che la Storia non ha insegnato nulla, che ci saranno sempre interessi superiori alla pace che muoveranno le fila. Incuranti di ostaggi, di detenuti, di profughi allo stremo, del terrore latente che caratterizza da sempre la regione.
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