Festività e riflessioni

25 aprile o Festa della Liberazione, Primo Maggio o Festa dei Lavoratori, 2 giugno o Festa della Repubblica.
Che cosa hanno in comune queste tre festività infrasettimanali?
Per ulteriore chiarezza di festività o giorni festivi ne potrei aggiungere altri ma meglio stare concentrati su questi tre che sono appena trascorsi.
Hanno in comune che sono giorni di Festa appunto, giorni in cui uffici pubblici, privati, scuole sono chiusi. Chiusi per festività appunto.
In alcune zone anche le farmacie sono chiuse (vero che in quasi tutte le città ci sono aperte le farmacie di turno ma spesso attraversare una città equivale ad un impegno serio specie se in tali giorni anche alcune corse dei servizi pubblici vengono sospese...), gli ambulatori medici pure e il servizio di guardia medica può capitare si trovi agli antiposi rispetto la propria abitazione.
Il centro città? A macchia di leopardo nel senso che ognuno fa quello che vuole creando una situazione di generale incertezza nel consumatore che per inciso si sposta, cerca di tener viva l'economia. 
L'aspetto negativo coinvolge se non travolge tutti quegli equilibri familiari che significano una minor presenza dei genitori a casa, affidarsi a persone terze quali baby sitter o parenti e vicini per accudire la prole, persone anziane. 
E un settore più di altri non viene considerato in statistiche, indagini di mercato, servizi TV: il mondo retail. 
Da anni ormai, qui in Friuli Venezia Giulia a partire dal 2004, sono sparite le domeniche con le serrande abbassate, la paga maggiorata per il lavoro festivo (le tre festività suddette equivalgono per un full time 40 ore a € 60 complessivi), orari contenuti e non irrazionalmente prolungati verso sera se non notte (e con tutto il rispetto le 21 di sera ad Udine hanno un flusso di consumatori decisamente diverso da Milano o Bologna o Catania). Da anni verso il retail c'è la visione di un servizio indispensabile, l'esigenza-urgenza di trovare il tuo negozio preferito sempre aperto, sempre disponibile. Ed è un errore che non sembra avere rimedio.
Nel senso che ormai il cammino è tracciato e indietro non si torna. 
Capita quindi che mentre fatichi a condividere un giorno di festa con la famiglia il negozio dove lavori, nel mondo retail appunto, si riempie di altri genitori che lasciano liberi i figli "di guardare senza toccare" mentre sono in visita bei negozi vicino, entrino coppie degne di Matusalemme in cui necessariamente uno dei due ti guarda e semiserio tu dice "meno male che siete aperti che non sapevamo dove andare". Ancora, chi litiga perché inevitabilmente non ci voleva passare in negozio, chi è di fretta, chi deve rilassarsi e compra una pinzetta per le cuticole (di domenica mattina...).
È un senso di incomprensione più che di rabbia. È il mio lavoro per carità, mi consente di vivere e mangiare però a tutto c'è un limite.
Ci sono lavori e lavoratori che non si fermano mai, fortunatamente viene da dire, e altri che sono peculiari in località turistiche. Altre realtà come può essere la realtà in cui vivo sono turistiche a metà o slegate uno con l'altra. 
Sono aperti i negozi del retail, quelli che vendono articoli d'impulso? Contestualmente sono chiusi i bar, i ristoranti o aperti mezza giornata, così come gli alimentari.
Così si offre un servizio a metà, zoppo che inasprisce di più l'umore di dover essere al lavoro quando la famiglia è a casa.
Ci si confronta con una clientela fin troppo particolare, sull'orlo di una crisi di nervi. E con personale ahimè con lo stesso problema.
Anni fa papa Benedetto XVI chiese una sorta di ripensamento per evitare "di inasprire i cuori" e lasciare più tempo alla famiglia. Ecco, nemmeno lui è stato ascoltato.


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