Lavorare a contatto con il pubblico è attività probante ma per la medicina legale non è usurante.
Certo bisogna fare i distinguo del caso fra gli impieghi, le attività svolte ci mancherebbe.
Certo è anche vero che ho amici e conoscenti che lavorano a stretto contatto di gomito con le persone dalla sanità pubblica, pronto soccorso, alla pubblica sicurezza alla pubblica istruzione. Insomma, ambiti ed ambienti lavorativi a volte difficili, così complicati da ritrovarli cambiati quasi ad ogni cambio turno.
Anche io lavoro con il pubblico, da sempre; un tempo nella ristorazione, proprio agli esordi della mia attività professionale, oggi nel retail, quell'ambito lavorativo che si tende a minimizzare con "lavoro in un negozio", che non può essere considerato usurante, che i sindacati magari ogni tanto si scordano che esiste.
Ecco, questo è il mio lavoro, il mio mondo quotidiano.
Ed è bello accidenti, un posto speciale dal quale osservare il mondo che cambia, che si sposta, si muove, riprende i propri ritmi (ricordando i giorni del COVID-19).
Ecco, in tutta questa bellezza presente e in divenire qualcosa che non torna c'è ovviamente; quel qualcosa che piega ogni giorno gli equilibri mentali del commesso. Qualcosa che in realtà è qualcuno, che non è mai lo stesso, stravolge equilibri, umori, forse anche le sinapsi.
E mentre stringi i denti per non fare uscire la risposta gretta che vorresti urlare, l'occhio un po' ti balla, lo vedi nell'angolo in basso del tuo campo visivo.
Perché?
Perché non ce la fai più a ripetere una routine quasi inutile. Quasi.
Saluti, saluti, saluti, non ti risponde nessuno; domande senza saluti, risposta educata, contro argomentazione arrogante del cliente che "lui sa" , risposta educata, cliente che compra ma si lamenta del costo della shopper "che lui sa che questa è una truffa" anche se sono solo pochi centesimi.
E già così ti chiedi ma perché "lavoro in mezzo alla gente?". Domanda destinata a rimanere senza risposta.
Le sinapsi rischiano il corto circuito intellettuale sulle richieste, sulle obiezioni di chiunque entri in negozio convinto di trovare ciò che cerca.
L'equilibrio quello no, quello è messo a dura prova soprattutto osservando le nuove generazioni, quelle che sono il nostro futuro. E da genitore di giovani speranze mi chiedo dove andremo a finire. Perché oltre allo stress vagamente ironico, se così possiamo definirlo, al mio quotidiano si affianca H24 lo stress da furti, piccoli furti certo ma comunque sempre di furti si tratta, ad opera di tutta una fascia di clientela che ti osserva anche se tu non vedi. Che entra in negozio con l'intento primario di rubare qualcosa.
E questa fascia di clientela ha spesso l'età scolare, ben inteso e' compreso tutto l'arco del percorso scolastico, senza distinzione si badi di etnia. Anzi, nel mio ambito lavorativo e' spesso l'italiano "al 100%" a provare a rubare, lontano dagli occhi dei genitori, senza un controllo, quasi che al di fuori di casa avvenisse nel giovane una sorta di mutazione caratteriale che fa uscire a volte l'aspetto peggiore.
Furti. Richieste al limite dell'assurdo. Arroganza. Allestimenti stagionali, fuori stagione. Ma il lavorare con il pubblico nei negozi non e' un lavoro usurante, non stanca, poi se vendi articoli da regalo e gadget "beato te che ti diverti".
Intanto fra Halloween, Natale, "una scatola di latta per mettere una ciocca di miei capelli", "un paio di auricolari da tre euro quanto costano?", sorveglio e bestemmio un calendario intero quasi in egual misura. E fatico a non lanciare nello spazio antistante il collo che tengo stretto in mano.
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