Il calcio, che racconto!

Il calcio, che racconto!

Il calcio come tutti gli altri sport di squadra, muove le masse, alimenta sogni ed illusioni, a volte per ragioni geopolitiche che hanno radici ancorate nella Storia ingolosiscono il Potere, quello che ha sempre una velo oscuro nel suo essere.
Attira soprattutto per la capacità di creare idoli quasi dal nulla, capaci però di influenzare il pubblico pagante e votante, o succube il più delle volte, e creare anche agli occhi di chi osserva, altri Stati in questi casi, una forma di invidia sportiva per la grande raccolta di allori raccolti.
Volgere lo sguardo all’Europa dell’Est durante gli anni che partono dal secondo dopoguerra e arrivano via via agli anni novanta, viene spontaneo. All’ombra del Muro di Berlino per un trentennio la DDR ha studiato a tavolino strategie di laboratorio per dare al mondo, quasi sempre puntando sull’atletica e sulle Olimpiadi, dei campioni “creati dal nulla”. E se non bastava l’ombra del Muro si aggiungeva l’ombra sicura della Cortina di Ferro marchiata URSS, padrona assoluta dell’oriente europeo.
E il calcio in questo contesto ha avuto una parte importante, sempre politicizzata e mai perdente. Se il risultato fu una sconfitta, la sconfitta fu sempre glorificata dal regime di turno.
La DDR ha creato con l’ausilio della famigerata Stasi una rete calcistica in cui alla fine tutto era definito all’inizio di ogni campionato, emblematico il caso della Dynamo Dresda, cannibalistica entro i propri confini, pulcino nel resto dell’Europa.
Il caso isolato fu il Magdeburgo, trionfatore in Coppa delle Coppe contro gli italiani del Milan nella stagione 1973/74, che gettò per un altro ventennio fumo negli occhi agli osservatori, facendo credere che ad Est tutto fosse regolare.
Non solo nella divisa Berlino ma anche negli altri Stati satellite dell’Est il potere genera idoli, se li lascia sfuggire come nel caso dell’Ungheria capace di distruggere quel miracolo calcistico degli anni’50 chiamato Aranycsapat , la Squadra d’Oro, scioltasi al sole dopo l’invasione sovietica.
Tutti movimenti che si sono dissolti con il passare degli anni, vittime il più delle volte della politica che ne ha cambiato confini, status, storia moderna.
Il calcio fortunatamente non nasconde tutto e i picchi sportivi, i personaggi che hanno segnato epoche anche diverse li tramanda negli anni, come le storie dei nonni, dei genitori. Diventano storie familiari.
Come in questo caso, nelle storie descritte di seguito; sono storie sentite, lette distrattamente sul tuo giornale preferito.
Fra tutte quelle lette, al netto dello scandalo emerso poi negli anni marciato Stasi, quelle che mi hanno accompagnato dall’adolescenza sono legate ai clamorosi casi romeni della Steaua Bucarest e del suo portiere paratutto Ducadam, o dell’onesto centravanti Rodion Camataru, effimera Scarpa d’Oro.
Persone e squadre che probabilmente se non fossero cresciuti e vissuti parallelamente ad uno dei regimi più duri dell’Est Europa non sarebbero stati tramandati “ai posteri” con tutto il loro carico misto di verità e leggenda.
Le precisazioni però sono d’obbligo: Ducadam era un bravo portiere e Camataru un attaccante che i gol li ha sempre fatti come dimostrato anche fuori dal confine romeno.
La Steaua Bucarest negli anni ’80 era un club figlio di un progetto definito, una generazione di fenomeni che forse senza l’ombra ingombrante del regime Ceausescu e della Securitate qualche altro trofeo lo avrebbe conquistato.
Ma appunto, le gesta rimangono e anche se ora i loro ricordi iniziano con “ma i ricordi…”, sono storie vive che si è fatto di tutto per chiudere in un cassetto, nel dimenticatoio.
Ma non ci sono solo storie di regimi, dittature e sport da laboratorio; nel calcio ci sono soprattutto storie immortali che vivono giorno dopo giorno nei canti dei tifosi di questo o quel club, nei cori da stadio, nelle targhe che ne mantengono in vita la memoria.
Specie se si viaggio per gli stadi della Gran Bretagna, vero e proprio must dei cori, delle icone calcistiche. Un movimento che aveva tutto per dominare il mondo calcistico ma che fino all’avvento dei dollari Sky sul finire del XX secolo e alla riformazione della Premier League e delle leghe minori, ha pagato dazio al mondo stesso, dapprima chiudendosi nel suo naturale isolamento, poi mandando per il mondo stesso il movimento hooligans, troppo organizzato per poter essere anche solo contenuto dalle varie polizie.
Pur continuando a creare miti, stelle destinate a rimanere nei cuori e negli occhi degli appassionati di football, la sera del 29 maggio 1985 allo stadio Heysel di Bruxelles, Belgio, il calcio inglese e britannico in generale si autoescluse dalle competizioni Uefa dopo la mattanza dei tifosi del Liverpool nella finale di Coppa dei Campioni contro gli italiani della Juventus.
Non fu chiaramente solo colpa degli hooligans ma un concorso di colpe fra polizia belga, addetti Uefa alla sicurezza e le tifoserie. Rimangono  39 morti che ancora non hanno un colpevole chiaro.
Il calcio dimenticato però è fatto anche di calciatori che sono diventati veri e propri eroi, leggende, racconti che non puoi non raccontare perché racchiudono infinite sfumature ed esempi.
Succede di appassionarsi al perdente di successo, di finire per ricordare una sconfitta epica più che l'ennesima vittoria. Si finisce con l'inseguire gesta calcistiche d'oltreoceano e farle un po' tue per l'epica che racchiudono come la storia dell'argentino Martin Palermo.
Storie anche vicine di club unici, non ci sono altri esempi simili nel mondo, con un vero nome e cognome in memoria di chi ha combattuto e ha perso la vita.
Il calcio come altri sport è anche frutto di sacrifici, abnegazione e costanza. Sono tanti gli esempi che lo dimostrano la due più di altri né rappresentano il senso di sacrificio, anche oltre il senso prettamente sportivo: il sovietico Lev Jascin e il sudafricano Jomo Sono.
Figli di tempi diversi ma ugualmente, socialmente e politicamente, complicati.
In questo il calcio non fa distinzione e dimostra quanto spetti alla volontà del singolo riuscire ad emergere o meno. Anche in questo caso c'è chi si perde non riconoscendo la ricchezza che ha. È il caso del brasiliano Garrincha, il cui percorso tortuoso forse era chiaro fin da piccolo.
Tutto questo è il calcio, quello da raccontare come chiacchera veloce al bar o fra amici.

Indice delle storie:

• https://lapennaeilcuore.blogspot.com/2019/10/john-thomson-il-principe.html
• https://lapennaeilcuore.blogspot.com/2019/11/matthias-sindelar-cartavelina.html
• https://lapennaeilcuore.blogspot.com/2019/11/sir-stanley-matthews-il-mago.html
• https://lapennaeilcuore.blogspot.com/2019/11/martin-palermo-el-loco.html
• https://lapennaeilcuore.blogspot.com/2019/11/bert-trautmann-il-paracadutista.html?m=1
• https://lapennaeilcuore.blogspot.com/2019/11/lev-ivanovic-jascin-il-ragno-nero.html?m=1
• https://lapennaeilcuore.blogspot.com/2019/11/rodion-camataru-la-scarpa-perduta.html?m=1
• https://lapennaeilcuore.blogspot.com/2019/11/helmut-ducadam-il-superman-romeno.html?m=1
• https://lapennaeilcuore.blogspot.com/2019/12/matthew-le-tissier-le-god.html?m=1
• https://lapennaeilcuore.blogspot.com/2019/12/jomo-sono-da-soweto-new-york.html?m=1
• https://lapennaeilcuore.blogspot.com/2019/12/mane-il-garrincha-sul-ramo.html?m=1
• https://lapennaeilcuore.blogspot.com/2019/12/giana-erminio-o-erminio-giana.html?m=1






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